lunedì 17 marzo 2014

Ultimi spari sulla Noalese

Tutto il 29 aprile 1945,  lungo la strada fra Padova e Treviso, fu un susseguirsi di soldati tedeschi in ritirata: erano gli ultimi, ed ormai gli alleati li inseguivano con il fiato sul collo.
Alle 17, nei pressi della fornace Rossi, ai confini fra Zero Branco e Quinto ci furono  degli spari.



Zero Branco, strada Noalese, 1940 ca. - Tavoletta IGM 1:25.000
Il luogo, presso le fornaci Rossi, in cui furono uccisi dai tedeschi in ritirata
il partigiano Angelo Bof e il bambino Carlo Fascina, di 9 anni.

Racconta G., un abitante del luogo (1):
«Venivano giù i tedeschi in bicicletta, in bicicletta e con i camion. I partigiani hanno fatto una sparatoria per fregargli le gomme dei camion, per portargli via la roba.
I tedeschi in bicicletta che erano più avanti si sono fermati e sono tornati indietro e hanno fatto un rastrellamento. Mio papà si è nascosto sotto el fascinèr de egne [la legnaia]. Tutti gli uomini sono spariti, ma ne hanno beccato due e li hanno uccisi. Uno era un bambino, e prima di sparargli gli hanno messo un panéto de pan [un pezzo di pane] in bocca». 
Ancora una volta, come già avvenuto in mattinata al Gambero, un atteggiamento oltraggioso nei confronti delle vittime (2).


Zero Branco, strada Noalese. (Google Street View 2014)
Sulla destra, in direzione di Treviso, il luogo in cui furono uccisi
Carlo Fascina (al termine della stradina privata in primo piano) e
Angelo Bof all'altezza della casa sulla curva.

La testimonianza non è di prima mano: chi parla cioè non era presente ai fatti e riferisce il racconto del padre, operaio nella vicina fornace. Ma proprio per questo è interessante, perché dimostra quanto nel narratore sia sedimentata la convinzione che i partigiani abbiano sparato ai tedeschi per “portargli via la roba” , “per fregargli le gomme dei camion”.
Non importa che nella realtà i partigiani stessero eseguendo, pagandolo a caro prezzo, l’ordine d’insurrezione generale dato dal Comando Militare Regionale del Cln che prevedeva di disarmare “le forze armate nazifasciste”, di bloccare “tutte le strade che conducono alla montagna” ed esplicitamente di sequestrare e tenere a disposizione dei comandi militari e dei C.L.N. “tutti gli automezzi del nemico”.
La logica con cui questo testimone - uomo comune, senza particolare preparazione culturale - riporta l’episodio della guerra di liberazione avvenuto a Zero Branco non è tuttavia dissimile da quella che sta sotto alla ricostruzione fatta da Angelo Ceron - uomo di cultura - di quanto avvenne il giorno successivo a Trevignano, dove un reparto tedesco tenne in ostaggio per quasi tutta la giornata 37 civili del luogo.
Questo l’incipit del racconto di Ceron:
«Due cavalli rubati, quattro tedeschi fatti prigionieri. Inizia così, lunedì 30 aprile del 1945, ultimo giorno di guerra, l’episodio degli ostaggi di Trevignano e di Falzè.
Quella mattina […] i partigiani rubano due cavalli dei tedeschi… ».
A questo punto una nota a piè di pagina, per mitigare un po’ il giudizio negativo dell’apertura, spiega:
«Rubare i cavalli ai tedeschi era un gesto di ostilità bellica. Ma era anche un modo per procurare carne da vendere alla popolazione…» (3).
In una sola pagina, e all'inizio del capitolo, per ben tre volte viene ripetuto che i partigiani hanno rubato. Sia pure - dicono loro - a fin di bene.
L’assioma “partigiani = ladri” non conosce differenze culturali.


Zero Branco, via Treviso, dietro l'ex fornace "nuova" di Carlesso,
ai bordi dello stagno che ha preso il posto del "monte" di argilla
si intravede la base in cemento del cippo marmoreo
eretto poco dopo la guerra in memoria di Carlo Fascina. (Foto 21.2.2014)

Santino funebre di Carlo Fascina, 9 anni (17.3.1936 / 29.4.1945)
ucciso a Zero Branco loc. Fornaci dai tedeschi in ritirata.

TESTO: "Come fiore reciso dalla falce
che pareggia tutte le erbe del prato
cadeva con il sorriso sulle labbra
inconscio - innocente
Carletto Fascina
d'anni 9
sotto i colpi di mitragliatrice tedesca" [...]

Per i due morti alle fornaci di Zero l’anagrafe comunale, usa la stessa formula “morto in strada Noalese per Quinto alle ore 17 - da ferita d’arma da fuoco”.
Entrambi abitavano a poca distanza da dove furono uccisi.
Carlo Fascina, 9 anni, figlio di Rita (classe 1913) abitava in via Guidini.
Angelo Bof, contadino, 21 anni abitava in via Bettin ed era figlio di Innocente e di Maria Stramare, trasferitisi a Zero nel 1927 da Segusino. Angelo era sposato con Amelia Feltrin e aveva due figli: Clara e Ernesto.
Sia Fascina sia Bof sono ricordati nel libro di Elio Fregonese dedicato ai caduti partigiani di Treviso.
Per il primo viene usata la formula generica di caduto “Per la causa della Libertà”, mentre la brigata Negrin lo colloca fra i suoi caduti quale "partigiano ad honorem".


Fascina Carlo, anni 9, Zero Branco TV, ucciso il 29 aprile 1945
ai bordi della strada Noalese. Partigiano ''ad honorem'' della Brigata Negrin.
(Aistresco, b. inv. 24, fasc. Elenco Caduti della Divisione Sabatucci, feriti compresi)

Questa invece la scheda di Angelo Bof  
- in Fregonese, I caduti trevigiani...:
«Partigiano Combattente - Brg. Negrin - Div. Sabatucci. […] A seguito di scontro a fuoco con un reparto di SS tedesche in ripiegamento, in località Fornaci, veniva colpito a morte».
- nell'elenco dei caduti della Divisione Sabatucci, Brigata Negrin:
«Bof Angelo di Innocente, nato a Segusino l'8 Maggio 1923. Domicilio a Zero Branco. Caduto in combattimento nella zona di Quinto, contro una colonna tedesca in ritirata».

Angelo Bof, partigiano.
Segusino 8 maggio 1923 - Zero Branco 29 aprile 1945

In precedenza, nel novembre-dicembre 1944, Bof risulta aggregato nella formazione partigiana "Bianco", al comando di Danton, che operava tra Valdobbiadene e Segusino (4).  
La figlia Clara conferma che suo padre era sì partigiano, ma che quel giorno - così ha sempre sentito dire da sua madre - era uscito di casa senza armi. Un’affermazione frutto - con tutta probabilità -  di una strategia difensiva messa in atto dalla madre per salvaguardare il buon nome del padre dalle malelingue del paese.
In via Bettin, una vicina della famiglia Bof non ha infatti dubbi su come in realtà siano andate le cose e così commenta la morte del partigiano:
«Poteva starsene a  casa ad aiutare suo padre a mungere le mucche. È morto perché ha voluto.
In Russia [i soldati italiani] hanno dovuto andarci … invece lui, con la stessa arma che aveva in mano lo hanno ammazzato, lasciando una vedova e due figli …» (5).

Zero Branco, via Treviso (Strada Noalese). Un abitante del luogo
indica il punto - all'altezza di un cespuglio sempreverde - dove si
trovava il cippo in memoria del partigiano Angelo Bof. (Foto 21.2.2014)

Sul luogo dell’uccisione furono collocati nell'immediato dopoguerra due cippi in marmo, su base di cemento e a forma di piccola colonna tronca (6). Purtroppo dei due cippi non c’è più traccia, se non nella memoria della figlia e dei pochi abitanti del luogo, a causa di scavi e movimentazione di terreno che nei decenni successivi hanno interessato tutta l'area .


NOTE
(1) Sintesi della testimonianza registrata a Zero Branco, via Treviso, il 21 febbraio 2014. File 14022105, dai minuti 01’38’’ a 03’34’’.
(2) In quell'infilare un pezzo di pane in bocca al bambino traspare non solo il disprezzo verso il singolo ma anche verso gli italiani tutti, quei “morti di fame” che si permettono di tendere agguati - e per di più senza divisa - a quello che si considerava il più forte degli eserciti.
(3) Angelo Ceron, “Gli ostaggi e il capitello di via Cornarotta” in Trevignano 1945, I fatti della Liberazione, Comune di Trevignano 2005, p. 116.
(4) Nicoletti, 1999, p. 291.
(5) Testimonianza raccolta in via Bettin a Zero Branco il 21 febbraio 2014. File 14022101, minuto 10’54. Le cause di tanta acredine sarebbero da approfondire. Non è infatti da escludere che - almeno in parte - risalgano ancora ai tempi dell’arrivo in paese, negli anni ’20, di questi foresti venuti dalla montagna e mai del tutto accettati. Cfr. il contrastato ingresso dei “furlani” di Sarmede in una campagna della vicina località di S. Angelo, nel 1923.
(6) Come quelli dedicati a Marco Graziati e Anelido Bosello (uccisi dalla brigate nere) e visibili in via Morgana fra Santa Cristina di Quinto e Istrana.

L’arrivo degli alleati all’Eden (fuori porta Santi Quaranta)


Brano tratto dalla relazione di Sparviero [Corrado Vanin], comandante della brigata garibaldina Bavaresco, «sui fatti d'arme più importanti avvenuti dal giorno 25/4/45 al giorno 1/5/45».
(Aistresco, b 7, fondo Caporizzi, fasc. Divisione Sabatucci, sf. Brigata Bavaresco)

A Treviso, il 29 aprile 1945

«Fin dalle prime ore dell'occupazione [partigiana della città di Treviso] venivano catturati e custoditi nei locali del Pio X centinaia di prigionieri tedeschi.
Il traffico sulle strade provenienti da Padova e Vicenza veniva bloccato da nostri avamposti dislocati in prossimità del bivio all'Eden. 
Verso le ore 14 si veniva informati dal Comando Militare di Piazza che da Mestre doveva giungere una colonna motorizzata tedesca. Pertanto l’ordine era di lasciarla transitare dato che le armi a disposizione erano inadatte a una difesa. Abbiamo atteso tutto il pomeriggio il passaggio di questa colonna quando verso le ore 23.48 si ode contro la porta S. Quaranta una forte sparatoria di armi pesanti. Questo fatto portava il panico fra le truppe garibaldine perché tutti attendevano l’arrivo della colonna tedesca. A presidio della porta S. Quaranta e Pio X rimanevano soltanto una ventina di patrioti, 500 prigionieri tedeschi e 7 o 8 prigionieri politici.
Io davo l’ordine di lasciare entrare, se insistevano, i presunti nemici e di difenderci fino al sacrificio nelle posizioni da noi occupate. Dopo 10 minuti di sparatoria con sorpresa di tutti il fuoco cessava. Seguirono diversi minuti di silenzio. Io e alcuni uomini decidemmo di uscire fuori porta e vedere di cosa si trattava. Arrivai con la pattuglia fino all'Eden, sentivo parlare in lingua straniera, finché un componente della colonna ci chiese chi fossimo io risposi “Patrioti” ero sempre convinto che la colonna fosse tedesca. In seguito si presentò un militare il quale ci disse che era la prima puntata alleata che doveva sostare per tutta la notte in quella località (Viale Monte Grappa). Presi contatto con l’Ufficiale di Collegamento il quale fu accompagnato al comando Piazza. 
Contemporaneamente alla mia assenza si udirono diverse scariche di mitra dirette contro il Pio X da parte di elementi ignoti. Il corpo di guardia fece delle immediate ricerche ma non poté rintracciare nessuno dato l'oscurità.
Il giorno 30 aprile da una casa di fronte alla chiesa di S. Agnese altre raffiche di armi automatiche venivano scaricate contro la strada.
Subito la casa veniva perquisita e scovato una quantità rilevante di caricatori Brent e munizioni varie. Altri casi del genere si sono verificati nei giorni successivi».

Il comandante di Brigata - Sparviero
                                                                                                                                                                  


Venticinque Aprile, Resistenza veneta, liberazione di Treviso, 1945
Relazione di Sparviero [Corrado Vanin], comandante della brigata partigiana
 "Luigi Bavaresco"sull'arrivo delle avanguardie alleate fuori porta Santi Quaranta
a Treviso nella notte fra il 29 e il 30 aprile 1945.

La resistenza dei veneti
                                                                                                    

Brigata Mameli, battaglione Mazzucco-Zero Branco e battaglione di Quinto: le tre formazioni di partigiani presenti sulla Noalese nei giorni dell’insurrezione

 (Resistenza a Zero Branco - resistenza a Quinto di Treviso)
La brigata Mameli, quella dei nove partigiani uccisi al Gambero, apparteneva al Gruppo Brigate di Giustizia e Libertà (1), a direzione azionista ma agiva all'interno di un’area controllata dalla brigata Negrin a direzione comunista. Malgrado la diversa matrice ideologica dei comandi, non ci furono tuttavia - almeno in quest’area - particolari contrasti fra le due componenti della resistenza trevigiana.
Venticinque Aprile, Resistenza veneta, liberazione di Treviso, 1945 - Partigiani di pianura, provincia di Treviso
Dislocazione della brigata garibaldina Negrin
a sud del capoluogo e della strada Callalta.
Ad ovest - e all'interno del settore operativo della Negrin -
operava anche la brigata Mameli di Giustizia e Libertà.

(Aistresco, b 7, fasc Divisione Sabatucci, sf Brigata Negrin)

Oltre ai partigiani della brigata Mameli, sulla direttrice della Noalese in provincia di Treviso, operavano due battaglioni garibaldini della brigata Negrin, dalla forza di 180 uomini a Zero Branco e di ben 280 a Quinto.
È chiaro che questi numeri si riferiscono al complesso di partigiani e di “patrioti”, cioè di quei volontari che si unirono ai partigiani negli ultimi giorni e che generalmente erano privi di armi. 

Le forze a disposizione dei quattro battaglioni
della brigata garibaldina Negrin durante l'insurrezione (28-29-30 aprile 1945).
Le cifre sono un po' a spanna e si riferiscono comunque a partigiani effettivi
più il folto gruppo di volontari accorsi a dar loro man forte nelle giornate insurrezionali. 

(Aistresco, b 7, fasc Divisione Sabatucci, sf Brigata Negrin)
Resistenza a Treviso- Partigiani - Guerra di Liberazione 1943-45
Un elenco che meglio rappresenta l’effettiva forza degli elementi inquadrati nelle file partigiane durante il periodo pre-insurrezionale c’informa che in realtà il battaglione di Quinto era composto di 45 uomini. Significativo che fra di essi ci fosse anche Agostino Dal Bianco, della solida famiglia contadina dei Marangon, il quale nei primi anni '50 farà parte - come assessore democristiano - della seconda giunta eletta del comune di Quinto, mentre era assente nell'amministrazione del CLN che resse il comune subito dopo la liberazione (2).  Segno che il termine di “comunisti” attribuito agli aderenti ai battaglioni garibaldini va usato, almeno nella pianura trevigiana, con tutte le riserve del caso. Come pure è significativo che il battaglione “comunista” dei partigiani di Zero Branco prenda il nome del paesano Luigi Mazzucco che combatteva con Giustizia e Libertà. A dimostrazione anche in questo caso che la realtà dei paesi era molto più fluida di quanto le carte ufficiali lascino trasparire. 

Quali furono le principali azioni e il comportamento dei tre gruppi?

Gruppo di Zero (Battaglione Mazzucco) - Oltremodo prudente la sua attività, forse perché provato il 25 aprile da un combattimento di due ore sostenuto con “cattivo armamento” e “scarsezza di munizioni” contro 150 SS provviste di due autoblindo che li aveva accerchiati in Villa Rigamonti e in seguito al quale il gruppo di partigiani si era “prontamente ritirato” nella zona fra Zero Branco a Quinto. Il 28 aprile il comandante del Mazzucco ricevette l’ordine dal comando di brigata di non attaccare i tedeschi, essendoci ancora in transito forti gruppi di SS. Diligentemente il comandante riporta: “mi sono attenuto a tale ordine assalendo piccoli gruppi isolati soprattutto per cattura armi e materiale”.
Consuntivo: sequestro di 20 cavalli con relativo carreggio, un autocarro, una motocicletta, diverse armi e buon munizionamento. Nessun prigioniero.
Questo l’organigramma ufficiale del battaglione:
- comandante Cesare Mastroiorio
- vicecomandante Secondo Rubinato
- commissario di guerra Romeo Pesce
- vice commissario di guerra Giovanni Baldovin
- capo di stato maggiore Ottorino Tosatto (3).
Non si trova invece il nome di Domenico [Italo] Gardin (nome di battaglia Riccardo, presente al cruento attacco partigiano alla caserma del 29° Deposito Misto Provinciale d'Istrana il 12 aprile 1945), che pure - sia dalle testimonianze orali (4) sia dalle carte d'archivio consultate da Gianpier Nicoletti (5) - risultava essere al vertice dei partigiani di Zero. Probabilmente l’assenza è dovuta al fatto che Gardin ricopriva anche un più importante incarico in seno alla brigata: dal 1 settembre 1944 alla fine della guerra risulta infatti capo di stato maggiore della Negrin, e come tale viene ricordato nei documenti conservati all'Istresco (6)

Relazione dell'attività dei partigiani
del battaglione Mazzucco (brigata Negrin) dal 24 al 30 aprile 1945.

(Aistresco, b 7, fasc Divisione Sabatucci, sf Brigata Negrin)
Resistenza a Zero Branco 
Battaglione di Quinto - La sua attività, almeno nella relazione (priva di data) del locale CLN, appare piuttosto vivace.
Anzitutto provvide a sorvegliare la posa di mine, da parte dei tedeschi, ai due ponti sul Sile della Noalese e nel campo d’aviazione.
28 aprile. Al mattino: posto di blocco sulla statale con sequestro di un veicolo trasporto truppe blindato 665 Fiat appartenente a soldati dell’ormai disciolto “Esercito cosidetto Repubblicano”, che si costituirono al CLN.
Al pomeriggio: scontro davanti a Villa Giordani con una colonna autotrasportata tedesca; nell'azione fu ferito Giovanni Battista Francescato. Nel frattempo un altro gruppo rimuoveva e portava in luogo sicuro le 14 mine poste dai tedeschi ai due ponti sul Sile.
Proseguiva anche la sorveglianza dell’aeroporto di Canizzano dove - in collegamento con “cellule di Patriotti” al suo interno e “nonostante ripetuti attacchi” - si riuscì a “far trovare agli ALLEATI il Campo quasi intatto”.
Notte fra il 29 e il 30 aprile: disarmo e cattura di un consistente gruppo di tedeschi nella strada fra Santa Cristina e Morgano (131 uomini, altrettanti cavalli, venti carri, 4 auto, un cannoncino, ecc.).

Autoblindo catturata ai tedeschi ferma nel centro di
Quinto di Treviso. Il ragazzo sulla torretta è Antonio Righetto.
(Da Giuseppe Iovino, Le nostre radici - g.c.) 
A questo punto - con un precoce oblio che sembra quasi voler anticipare il fenomeno di rimozione e negazione della Resistenza, cui spesso si assisterà negli anni successivi - la relazione del CLN di Quinto sbaglia le date di eventi che non potevano certo essere passati inosservati e che erano avvenuti solo poco tempo prima.
Viene infatti riportata la data del 30 aprile - giorno in cui erano ormai gli alleati a transitare per la strada maestra e per il centro del paese (7) -  come quella in cui si accantonarono a Quinto forti reparti di tedeschi “rendendo l’opera dei patriotti più difficile anche per il pericolo di feroci rappresaglie.” 
Alla stessa data sono inoltre riferiti gli scontri a fuoco avvenuti dapprima davanti a villa Giordani (con il ferimento di Luigi Pancaldi, partigiano con funzioni di collegamento) e poi al Gambero. In quest’ultima azione si ricorda come sia stato ferito Vittorio Scattolin e sia stato ucciso Emilio Schreiber, del quale si rivendica l’appartenenza al battaglione di Quinto, in contrasto con quanto riferito da altra fonte (8).


Relazione del CLN di Quinto di Treviso sulle
"Azioni svolte dal Gruppo Patriotti del Comune [...] 

nei giorni 28-29-30 Aprile 1945,
prima dell'ingresso delle Truppe Alleate".

(Aistresco, b 7, fasc Divisione Sabatucci, sf Brigata Negrin) 
- Resistenza a Quinto di Treviso -

Brigata Mameli - La relazione del comandante Raffaello Rapisardi descrive in un crescendo drammatico la fatale azione dei suoi uomini, domenica 29 aprile al Gambero.

Leggi la relazione Rapisardi
oppure vai al 
Fatto d'arme di Quinto


NOTE
(1) Oltre alla Brigata Mameli poi Bortolato, le altre formazioni che componevano il Gruppo Brigate Giustizia e Libertà di Treviso erano: Brigata Pietro Gobbato (alta pianura trevigiana fra Ponzano e il Montello), Battaglione Bruno Chiarello (area ovest Feltrina, alta pianura trevigiana, da non confondere con il btg. autonomo garibaldino Rino e Bruno Chiarello), Brigata Fratelli d’ItaliaBrigata Luciano Rigo (zona Maserada - Spresiano), Battaglione Rapisardi (zona Roncade - San Michele del Quarto). (Aistresco, fondo Caporizzi, b 8 - vari sottofascicoli in fasc. Gruppo Brigate Giustizia e Libertà).
(2) Archivio Storico Comune di Quinto, Registro delle deliberazioni originali del Podestà dal 13 febbraio 1943/XXI - (Dal 7 giugno 1945 contiene le Deliberazioni della Giunta Municipale fino a tutto il 1954).
(3) Aistresco, fondo Caporizzi, b 7, fasc. Divisione Sabatucci, sf. Brigata Negrin.
Da notare come Ottorino Tosatto, di Eugenio, nato a S. Alberto il 12 agosto 1921, fosse stato un fedelissimo di Vladimiro Paoli, presente con il diciottenne partigiano comunista nella sfortuna azione sul ponte dell'Ostiglia sulla "Valsugana" il 9 settembre 1944, nella quale Paoli rimase sul terreno per "fuoco amico".
(4) Testimonianza di Aldo Mazzucco, 1956, che riferisce quanto sempre sentito raccontare in famiglia: “Il comandante di questi partigiani sappiamo per certo chi era; era Italo Gardin” - Registrazione del 30 dicembre 2013, File 13123004  al minuto 18'02''.
(5) Gianpier Nicoletti, “Tra ‘800 e ‘900: trasformazioni e permanenze”, in Storia di terra e di acque, Comune di Zero Branco - Canova, 2004, p. 292.
(6) Aistresco, fondo Caporizzi, b 7, fasc. Divisione Sabatucci, sf. Brigata Negrin.
(7) Anche se una sacca di resistenza viene segnalata il 30 aprile in via Zecchina dove «Silvio Pesce che “si trovava sul posto di combattimento” assieme al proprio caposquadra Enrico Giuriati, veniva ferito alla coscia dalle schegge». Gianpier Nicoletti, “Tra ‘800 e ‘900: trasformazioni e permanenze”, in Storia di terra e di acque, Comune di Zero Branco - Canova, 2004, p. 291. Enrico Giuriati era caposquadra della Mameli. In altro documento risulta che Giuriati è stato sì ferito all'arto superiore destro ma il 29 aprile 1945. (Elenco delle perdite subite dalle Brigate GL - Aistresco, Caporizzi, b 8, fasc. Gruppo Brigate GL (data: 29 agosto 1945) e sf. Brigata Bortolato per l’elenco dei componenti della Mameli). 
(8) Elio Fregonese (a c.), I caduti trevigiani …, considera Emilio Schreiber un caduto della Mameli.


domenica 2 marzo 2014

27-28 aprile 1945. Treviso, il grande saccheggio

L'assalto della popolazione civile alle proprietà non più sottoposte a vigilanza è un classico dei giorni di passaggio fra un regime e l'altro.
Per restare al Novecento, era già successo in Friuli e nel Veneto oltre Piave durante la prima guerra mondiale dopo Caporetto, fra la ritirata degli italiani e l'arrivo degli austro-tedeschi. Succede anche nell'ultima guerra, almeno a Treviso, fra la dissoluzione delle forze fasciste e l'arrivo dei partigiani.
Ci fornisce una vivida descrizione dell'atmosfera che regnava in quei giorni a Treviso il prof. Silvio Zorzi, nel secondo numero (2 giugno 1945) del settimanale Rinascita, organo del locale CLN.

I giorni dell'assalto dei trevigiani di città e suburbio
ai depositi e magazzini del dissolto regime in un articolo di Silvio Zorzi
- esponente del Partito Cristiano Sociale -
pubblicato su Rinascita, organo del CLN della Marca.
L'acme del grande saccheggio fu raggiunto
nel giorno della festa del patrono (27 aprile) e in quello successivo.
 

Resistenza - Liberazione di Treviso, 1945
Giorni di interregno in Treviso

Gli ultimi giorni della dominazione nazifascista sono stati di particolare trepidazione e sgomento: si temevano saccheggi, rappresaglie di truppe esasperate nella loro ritirata, nella loro fuga.
Bande nere affluivano su camions in corsa sfrenata. Il Pio X era la loro caserma, là dove si consumavano le ultime torture, fra lo strazio non dico de’ suppliziati, difficilmente immaginabile tanto raffinate e crudeli n’erano le forme, ma dei cittadini che ne udivano per via le grida laceranti.
Per terrore dei partigiani si dava la caccia a tutti gli indiziati che potessero nascondere armi; ogni giorno erano nuovi arresti di giovani, i più nobili e coraggiosi, colti di sorpresa nelle loro case, nei loro rifugi, nei modi più astuti e sleali. Non mancarono freddi assassinii compiuti notte tempo: la Riviera Margherita e Ponte San Martino ne rimarranno tristemente famosi. L’indomani venivano tratti fuori dal Sile i cadaveri degli uccisi.
Quanti dei nostri partigiani dovettero mettersi in salvo? operai, studenti, diplomati, maestre, studentesse loro ausiliarie, di cui serbiamo memoria, il cui nome onorerà per sempre la nostra vita cittadina.
Intanto la vittoria degli Alleati da lontano, le Brigate partigiane da vicino incalzavano. Quando si seppe che Padova, Venezia erano in mano dei patrioti, degli Alleati, si ebbe la sensazione che il dramma nella nostra città era al suo epilogo. Se non che, così trincerata, Treviso era una fortezza. Nuclei organici di truppe tedesche, potentemente corazzati accampavano presso i sobborghi.
Il mercoledì 25 corsero le prime voci d’un assalto dei partigiani alla città. Ma come vi sarebbero penetrati? Era una audacia che avrebbe avuto del temerario, dell’inconsulto: vi potevano essere attirati, chiusi, uccisi tutti senza una possibilità di difesa, di scampo.
La città aveva ormai acquistato l’aspetto dell’abbandono: al primo imbrunire raramente si incontrava qualcuno per via: le stesse facce, le stesse trepide domande. Il silenzio della notte era continuamente tormentato da scoppi di bombe, da scoppi di mitra. Aeroplani notturni in continue evoluzioni intensificavano la loro caccia al movimento stradale. Costituivano tuttavia la preoccupazione minore, come non si faceva ormai quasi più caso degli allarmi che nella giornata si susseguivano ininterrottamente. 
Quando corse la voce che anche Mestre era liberata parve che gli Alleati fossero alle porte di Treviso. Fu lo squagliamento, la fuga delle bande nere, delle S.S., di elementi della X Mas: soldati tedeschi passavano a piccoli gruppi, in margine forse del grosso della ritirata. Ai rari passanti offrivano a caro prezzo cose di cui si sente particolarmente la penuria. Chiedevano della strada Feltrina, della Callalta, di quella per Conegliano.
Fuori mura, alle porte, sui viali camicie nere fermavano i ciclisti per inforcarne le biciclette e fuggire. Molti erano in cerca di vestiti borghesi. Rimaneva soltanto presidiato qualche punto strategico. La città sarebbe apparsa completamente deserta se qualche camion non vi fosse penetrato a caricare commestibili presso questo o quel magazzino dove rimanevano ancora sentinelle minacciose contro chiunque s’indugiasse a passare.
È certo che tra giovedì 26 e la domenica 29 aprile ci fu in Treviso un interregno: seppure c’era un’autorità, una forza, essa non fu veduta: schiva? chiusa? fuggita?
È vero che in quei giorni la vita era paralizzata. Pareva che non ci fosse nulla da fare. Molti negozi erano chiusi; cessata quasi la distribuzione di viveri, del latte; mai la città era apparsa così squallida.
Il venerdì, nel pomeriggio, camicie nere, che erano di già fuggite, riapparvero; nella notte ancora qualche sparo, qualche ucciso. Poi la sparizione finale! Corse allora il pensiero di approfittare del momento per liberare i detenuti politici, quelli del Pio X, quelli passati alle Carceri giudiziarie. La notte del 25 c’erano stati tentativi di camicie nere di penetrarci, chissà con quali intenti, con quale animo di vendetta. Fu per provvedere alla loro sicurezza, nelle ultime convulsioni di una gente perduta, che cittadini animosi promossero la loro scarcerazione. L’esodo venne fatto alla spicciolata: giovani scapigliati, ancora pesti, semilaceri, coi lividi sulla faccia, alle mani, pallidi, sparuti. Non sapevano di trovarsi fra un istante fra le braccia di parenti appostati in distanza a riceverli, timorosi d’essere assaliti per via. La città dovrà bene conoscere questi bravi ed additarli come esempio di civile virtù alla nuova generazione, così umili e semplici nel loro eroico sacrificio, in una dedizione di se stessi, per la santa causa della patria, che aveva del sublime.
Intanto si attendevano di ora in ora i patrioti.
Era corsa la voce che sarebbero penetrati nella notte del giovedì [26 aprile]. Il ritardo fece nascere il pensiero di costituire, di fronte a quanto poteva succedere, un nucleo direttivo fra i cittadini più noti che ancora era possibile incontrare.
Il Vescovo, che tante volte si era adoperato per la liberazione di detenuti politici al Pio X, che ad ogni bombardamento si era incontrato sul luogo del dolore e della distruzione, qualche parroco  e curato più in vista ricondussero il pensiero a quei tempi medioevali quando nei momenti di maggiore trepidazione e pericolo, in assenza dell’autorità civile, d’una forza, d’un ordine costituito, era l’autorità ecclesiastica  che provvedeva ai bisogni, alla difesa della cittadinanza e certamente questo sarebbe stato lo sfocio naturale dei fatti se questi non fossero precipitati e fulmineamente.
Nessuno pensava che intanto c’era chi si travagliava pel destino della città.
Mentre il Vescovo iniziava trattative col Comando tedesco perché le truppe avessero da abbandonare le loro posizioni pacificamente, mentre il Comitato di Liberazione chiedeva la resa disarmata e il fermo sull'equipaggiamento ed i viveri, mentre la Commissione Economica disponeva le riserve, giustamente sottratte alle possibili requisizioni o alla distruzione, ed il Comando Militare della Piazza, spazzati i vari nuclei di resistenza, organizzava l’assalto alla città, accadde l’irreparabile.
Nel breve abbandono fu il saccheggio: la gente affamata e quella ladra, corse ai magazzini, primo quello delle brigate nere in Via Damiano Chiesa di Città Giardino. Indicibile la scena. Si mise mano a tutto. La voce corse come un baleno: ne vennero dai sobborghi vicini, le strade si rianimarono improvvisamente: gente che provvedeva a se stessa di tutto ciò che potesse, con ogni mezzo di trasporto. C’era la meraviglia, l’esasperazione, l’odio, la gazzarra, lo scempio, le mani su tutto ciò che fosse del regime, delle caserme, su tutte le riserve che ricordavano le lunghe, le vane attese, le inutili richieste.
Il prof. Silvio Zorzi, dei Cristiano Sociali, esponente
della Resistenza trevigiana
e nel dopoguerra tra
gli 
animatori del movimento dei "Partigiani della Pace".
(Da Ivo Dalla Costa, Pietro Dal Pozzo: un testimone...)
Chi non ha visto il sacco delle due ville, della Casa del Balilla, della Caserma De Dominicis, di quella di Monigo, di altre ancora, non sa che cosa sia un popolo che, assillato da tante privazioni, con tanti odi accumulati nel cuore, con tanti egoismi scatenati, si getta sopra una facile agognatissima preda. Chi avrebbe potuto resistergli?
Le notti lunari favorivano l’esodo delle refurtive in tutte le direzioni, per le vie della città e per la campagna. Il giorno di S. Liberale, tutto il sabato fu un accorrere a questo e a quel luogo dove la voce che erano vicini i tedeschi ed avrebbero tutto asportato induceva a distribuire calzature, oggetti di vestiario ed altro, prima che le porte fossero sfondate e divelte e le stesse case messe a ruba.
Quanto ancora si sarebbe continuato nel saccheggio?
L’ingresso delle valorose Brigate legionarie, il mattino di domenica, dopo aver debellate le ultime resistenze fin sulle mura della città, l’insediamento  del Comitato di Liberazione nel Palazzo del Governo, la presa di possesso di tutti gli edifici pubblici, delle caserme, dei posti di rifornimento, segnarono la cessazione del caos, che per due giorni aveva imperversato e la fine di un interregno che, breve, parve lunghissimo.  
La città tardò qualche ora ad accorgersi del grande avvenimento. Apparvero le prime bandiere, si udirono le prime voci, le prime grida, i primi canti di liberazione, camions, motociclette saettavano per le vie principali, ci fu un primo affluire sulla Piazza. La sirena prolungata, le campane a distesa diedero il felice annunzio; incominciò l’attesa, protrattasi per tutta la giornata fino all'indomani, dell’arrivo delle truppe Alleate. E vennero e fu la sicurezza della liberazione
Silvio Zorzi



28 aprile 1945: il CLNP di Treviso ordina al Comando militare partigiano
di arginare il saccheggio alla Fonderia, alle caserme De Amicis e Salsa e 
"lungo la linea ferroviaria in località Manicomio" - (CASREC - IVSR_7_2_4.032 )


                               


Ancora sul saccheggio a Treviso nei giorni di fine regime

«Lo scenario trevigiano di quei giorni di fine aprile è uno scenario comune a tutti i periodi di crisi. Il 28 aprile, mentre scattava il piano insurrezionale per la presa della città, il CLNP segnalava al Comando Militare il "saccheggio dilagante nella città di Treviso" soprattutto alla Fonderia di S. Maria del Rovere e alla Caserma De Dominicis; la "folla", inoltre, aspettava il ritiro dei tedeschi dalla Caserma Salsa per poter asportare le derrate alimentari. Sono i primi sintomi della potenziale anarchia nella quale la città si sta addentrando. La repentina scomparsa delle forze fasciste non placava l'emergenza, come testimonia la richiesta, il 30 aprile, dei prosindaci di Treviso di inviare drappelli di uomini armati in municipio, preceduta, qualche ore prima, da un comunicato del Comitato che fissava il coprifuoco dalle 21 alle 6 del mattino proibendo qualsiasi assembramento».
(Marco Borghi, Dopo la guerra ... verbali del CLN provinciale..., p. 30)


                               



Lo sciacallaggio, se raggiunse l'apice nei giorni del passaggio del potere, fu comunque una presenza continua a Treviso, dopo il devastante bombardamento americano del 7 aprile 1944.  < Ascolta le testimonianze >
Questo continuo depredare la città distrutta, non solo da parte dei pochi abitanti rimasti che si servivano di legname per riscaldare il lungo inverno di guerra, ma anche - e soprattutto - da parte di contadini provenienti dalla vicine frazioni, che "come avvoltoi" piombavano in città con tanto di carri che riempivano di "travature, oggetti casalinghi ed anche biancheria", se da un lato provoca lo sdegno del giornale locale dall'altro dimostra come di fatto Treviso, nell'ultimo anno di guerra, fosse ormai allo sbando, fiaccata dai bombardamenti e priva di un'autorità in grado di imporre un minimo di convivenza civile.
A questo punto sarebbe anche da riflettere sulla tanto sbandierata "civiltà" contadina. Fra mercato nero e sciacallaggio di certo i contadini, non tutti ovviamente, non ne escono bene dagli anni della guerra in casa (e da quelli immediatamente successivi: si veda il mancato conferimento dei cereali ai "granai del popolo").
Argomento tutto da approfondire...

Il Gazzettino contro i "vampiri"
e gli "avvoltoi" che depredano
Treviso bombardata (22.3.45)  
Trascrizione

I vampiri saranno denunciati ai Tribunali di guerra
Sentiamo il dovere di additare al pubblico disprezzo quelle torme di "vampiri" che di mattina, giorno e sera si aggirano sui quartieri devastati dalle bombe nemiche per trafugare dalle macerie legname e quanto possa servire per loro comodo ed uso. E' una cosa che suscita la generale deplorazione e, soprattutto, lo sdegno delle persone oneste e di sentimenti veramente italiani. 
Abbiamo visto non solo portare via pezzi di legna da ardere ma carrette con quintali di travature, oggetti casalinghi ed anche biancheria in danno di famiglie rimaste prive di tutto.
Il legname ricuperato non  potrebbe servire invece per le necessarie riparazioni, per costruire barche o qualche altra cosa di urgente necessità? E' una piaga che deve essere prontamente fatta sparire. Quello che poi è più sconsolante è  che, come avvoltoi, piombano in città anche individui dalla campagna, magari provvisti in casa loro di ogni grazia di Dio. 
Ci consta in proposito che le autorità adotteranno rigorose misure per reprimere tali gravissimi reati denunciando senz'altro i colpevoli al tribunale di guerra.