domenica 2 marzo 2014

27-28 aprile 1945. Treviso, il grande saccheggio

L'assalto della popolazione civile alle proprietà non più sottoposte a vigilanza è un classico dei giorni di passaggio fra un regime e l'altro.
Per restare al Novecento, era già successo in Friuli e nel Veneto oltre Piave durante la prima guerra mondiale dopo Caporetto, fra la ritirata degli italiani e l'arrivo degli austro-tedeschi. Succede anche nell'ultima guerra, almeno a Treviso, fra la dissoluzione delle forze fasciste e l'arrivo dei partigiani.
Ci fornisce una vivida descrizione dell'atmosfera che regnava in quei giorni a Treviso il prof. Silvio Zorzi, nel secondo numero (2 giugno 1945) del settimanale Rinascita, organo del locale CLN.

I giorni dell'assalto dei trevigiani di città e suburbio
ai depositi e magazzini del dissolto regime in un articolo di Silvio Zorzi
- esponente del Partito Cristiano Sociale -
pubblicato su Rinascita, organo del CLN della Marca.
L'acme del grande saccheggio fu raggiunto
nel giorno della festa del patrono (27 aprile) e in quello successivo.
 

Resistenza - Liberazione di Treviso, 1945
Giorni di interregno in Treviso

Gli ultimi giorni della dominazione nazifascista sono stati di particolare trepidazione e sgomento: si temevano saccheggi, rappresaglie di truppe esasperate nella loro ritirata, nella loro fuga.
Bande nere affluivano su camions in corsa sfrenata. Il Pio X era la loro caserma, là dove si consumavano le ultime torture, fra lo strazio non dico de’ suppliziati, difficilmente immaginabile tanto raffinate e crudeli n’erano le forme, ma dei cittadini che ne udivano per via le grida laceranti.
Per terrore dei partigiani si dava la caccia a tutti gli indiziati che potessero nascondere armi; ogni giorno erano nuovi arresti di giovani, i più nobili e coraggiosi, colti di sorpresa nelle loro case, nei loro rifugi, nei modi più astuti e sleali. Non mancarono freddi assassinii compiuti notte tempo: la Riviera Margherita e Ponte San Martino ne rimarranno tristemente famosi. L’indomani venivano tratti fuori dal Sile i cadaveri degli uccisi.
Quanti dei nostri partigiani dovettero mettersi in salvo? operai, studenti, diplomati, maestre, studentesse loro ausiliarie, di cui serbiamo memoria, il cui nome onorerà per sempre la nostra vita cittadina.
Intanto la vittoria degli Alleati da lontano, le Brigate partigiane da vicino incalzavano. Quando si seppe che Padova, Venezia erano in mano dei patrioti, degli Alleati, si ebbe la sensazione che il dramma nella nostra città era al suo epilogo. Se non che, così trincerata, Treviso era una fortezza. Nuclei organici di truppe tedesche, potentemente corazzati accampavano presso i sobborghi.
Il mercoledì 25 corsero le prime voci d’un assalto dei partigiani alla città. Ma come vi sarebbero penetrati? Era una audacia che avrebbe avuto del temerario, dell’inconsulto: vi potevano essere attirati, chiusi, uccisi tutti senza una possibilità di difesa, di scampo.
La città aveva ormai acquistato l’aspetto dell’abbandono: al primo imbrunire raramente si incontrava qualcuno per via: le stesse facce, le stesse trepide domande. Il silenzio della notte era continuamente tormentato da scoppi di bombe, da scoppi di mitra. Aeroplani notturni in continue evoluzioni intensificavano la loro caccia al movimento stradale. Costituivano tuttavia la preoccupazione minore, come non si faceva ormai quasi più caso degli allarmi che nella giornata si susseguivano ininterrottamente. 
Quando corse la voce che anche Mestre era liberata parve che gli Alleati fossero alle porte di Treviso. Fu lo squagliamento, la fuga delle bande nere, delle S.S., di elementi della X Mas: soldati tedeschi passavano a piccoli gruppi, in margine forse del grosso della ritirata. Ai rari passanti offrivano a caro prezzo cose di cui si sente particolarmente la penuria. Chiedevano della strada Feltrina, della Callalta, di quella per Conegliano.
Fuori mura, alle porte, sui viali camicie nere fermavano i ciclisti per inforcarne le biciclette e fuggire. Molti erano in cerca di vestiti borghesi. Rimaneva soltanto presidiato qualche punto strategico. La città sarebbe apparsa completamente deserta se qualche camion non vi fosse penetrato a caricare commestibili presso questo o quel magazzino dove rimanevano ancora sentinelle minacciose contro chiunque s’indugiasse a passare.
È certo che tra giovedì 26 e la domenica 29 aprile ci fu in Treviso un interregno: seppure c’era un’autorità, una forza, essa non fu veduta: schiva? chiusa? fuggita?
È vero che in quei giorni la vita era paralizzata. Pareva che non ci fosse nulla da fare. Molti negozi erano chiusi; cessata quasi la distribuzione di viveri, del latte; mai la città era apparsa così squallida.
Il venerdì, nel pomeriggio, camicie nere, che erano di già fuggite, riapparvero; nella notte ancora qualche sparo, qualche ucciso. Poi la sparizione finale! Corse allora il pensiero di approfittare del momento per liberare i detenuti politici, quelli del Pio X, quelli passati alle Carceri giudiziarie. La notte del 25 c’erano stati tentativi di camicie nere di penetrarci, chissà con quali intenti, con quale animo di vendetta. Fu per provvedere alla loro sicurezza, nelle ultime convulsioni di una gente perduta, che cittadini animosi promossero la loro scarcerazione. L’esodo venne fatto alla spicciolata: giovani scapigliati, ancora pesti, semilaceri, coi lividi sulla faccia, alle mani, pallidi, sparuti. Non sapevano di trovarsi fra un istante fra le braccia di parenti appostati in distanza a riceverli, timorosi d’essere assaliti per via. La città dovrà bene conoscere questi bravi ed additarli come esempio di civile virtù alla nuova generazione, così umili e semplici nel loro eroico sacrificio, in una dedizione di se stessi, per la santa causa della patria, che aveva del sublime.
Intanto si attendevano di ora in ora i patrioti.
Era corsa la voce che sarebbero penetrati nella notte del giovedì [26 aprile]. Il ritardo fece nascere il pensiero di costituire, di fronte a quanto poteva succedere, un nucleo direttivo fra i cittadini più noti che ancora era possibile incontrare.
Il Vescovo, che tante volte si era adoperato per la liberazione di detenuti politici al Pio X, che ad ogni bombardamento si era incontrato sul luogo del dolore e della distruzione, qualche parroco  e curato più in vista ricondussero il pensiero a quei tempi medioevali quando nei momenti di maggiore trepidazione e pericolo, in assenza dell’autorità civile, d’una forza, d’un ordine costituito, era l’autorità ecclesiastica  che provvedeva ai bisogni, alla difesa della cittadinanza e certamente questo sarebbe stato lo sfocio naturale dei fatti se questi non fossero precipitati e fulmineamente.
Nessuno pensava che intanto c’era chi si travagliava pel destino della città.
Mentre il Vescovo iniziava trattative col Comando tedesco perché le truppe avessero da abbandonare le loro posizioni pacificamente, mentre il Comitato di Liberazione chiedeva la resa disarmata e il fermo sull'equipaggiamento ed i viveri, mentre la Commissione Economica disponeva le riserve, giustamente sottratte alle possibili requisizioni o alla distruzione, ed il Comando Militare della Piazza, spazzati i vari nuclei di resistenza, organizzava l’assalto alla città, accadde l’irreparabile.
Nel breve abbandono fu il saccheggio: la gente affamata e quella ladra, corse ai magazzini, primo quello delle brigate nere in Via Damiano Chiesa di Città Giardino. Indicibile la scena. Si mise mano a tutto. La voce corse come un baleno: ne vennero dai sobborghi vicini, le strade si rianimarono improvvisamente: gente che provvedeva a se stessa di tutto ciò che potesse, con ogni mezzo di trasporto. C’era la meraviglia, l’esasperazione, l’odio, la gazzarra, lo scempio, le mani su tutto ciò che fosse del regime, delle caserme, su tutte le riserve che ricordavano le lunghe, le vane attese, le inutili richieste.
Il prof. Silvio Zorzi, dei Cristiano Sociali, esponente
della Resistenza trevigiana
e nel dopoguerra tra
gli 
animatori del movimento dei "Partigiani della Pace".
(Da Ivo Dalla Costa, Pietro Dal Pozzo: un testimone...)
Chi non ha visto il sacco delle due ville, della Casa del Balilla, della Caserma De Dominicis, di quella di Monigo, di altre ancora, non sa che cosa sia un popolo che, assillato da tante privazioni, con tanti odi accumulati nel cuore, con tanti egoismi scatenati, si getta sopra una facile agognatissima preda. Chi avrebbe potuto resistergli?
Le notti lunari favorivano l’esodo delle refurtive in tutte le direzioni, per le vie della città e per la campagna. Il giorno di S. Liberale, tutto il sabato fu un accorrere a questo e a quel luogo dove la voce che erano vicini i tedeschi ed avrebbero tutto asportato induceva a distribuire calzature, oggetti di vestiario ed altro, prima che le porte fossero sfondate e divelte e le stesse case messe a ruba.
Quanto ancora si sarebbe continuato nel saccheggio?
L’ingresso delle valorose Brigate legionarie, il mattino di domenica, dopo aver debellate le ultime resistenze fin sulle mura della città, l’insediamento  del Comitato di Liberazione nel Palazzo del Governo, la presa di possesso di tutti gli edifici pubblici, delle caserme, dei posti di rifornimento, segnarono la cessazione del caos, che per due giorni aveva imperversato e la fine di un interregno che, breve, parve lunghissimo.  
La città tardò qualche ora ad accorgersi del grande avvenimento. Apparvero le prime bandiere, si udirono le prime voci, le prime grida, i primi canti di liberazione, camions, motociclette saettavano per le vie principali, ci fu un primo affluire sulla Piazza. La sirena prolungata, le campane a distesa diedero il felice annunzio; incominciò l’attesa, protrattasi per tutta la giornata fino all'indomani, dell’arrivo delle truppe Alleate. E vennero e fu la sicurezza della liberazione
Silvio Zorzi



                               


Ancora sul saccheggio a Treviso nei giorni di fine regime

«Lo scenario trevigiano di quei giorni di fine aprile è uno scenario comune a tutti i periodi di crisi. Il 28 aprile, mentre scattava il piano insurrezionale per la presa della città, il CLNP segnalava al Comando Militare il "saccheggio dilagante nella città di Treviso" soprattutto alla Fonderia di S. Maria del Rovere e alla Caserma De Dominicis; la "folla", inoltre, aspettava il ritiro dei tedeschi dalla Caserma Salsa per poter asportare le derrate alimentari. Sono i primi sintomi della potenziale anarchia nella quale la città si sta addentrando. La repentina scomparsa delle forze fasciste non placava l'emergenza, come testimonia la richiesta, il 30 aprile, dei prosindaci di Treviso di inviare drappelli di uomini armati in municipio, preceduta, qualche ore prima, da un comunicato del Comitato che fissava il coprifuoco dalle 21 alle 6 del mattino proibendo qualsiasi assembramento».
(Marco Borghi, Dopo la guerra ... verbali del CLN provinciale..., p. 30)


                               



Lo sciacallaggio, se raggiunse l'apice nei giorni del passaggio del potere, fu comunque una presenza continua a Treviso, dopo il devastante bombardamento americano del 7 aprile 1944.  < Ascolta le testimonianze >
Questo continuo depredare la città distrutta, non solo da parte dei pochi abitanti rimasti che si servivano di legname per riscaldare il lungo inverno di guerra, ma anche - e soprattutto - da parte di contadini provenienti dalla vicine frazioni, che "come avvoltoi" piombavano in città con tanto di carri che riempivano di "travature, oggetti casalinghi ed anche biancheria", se da un lato provoca lo sdegno del giornale locale dall'altro dimostra come di fatto Treviso, nell'ultimo anno di guerra, fosse ormai allo sbando, fiaccata dai bombardamenti e priva di un'autorità in grado di imporre un minimo di convivenza civile.
A questo punto sarebbe anche da riflettere sulla tanto sbandierata "civiltà" contadina. Fra mercato nero e sciacallaggio di certo i contadini, non tutti ovviamente, non ne escono bene dagli anni della guerra in casa (e da quelli immediatamente successivi: si veda il mancato conferimento dei cereali ai "granai del popolo").
Argomento tutto da approfondire...

Il Gazzettino contro i "vampiri"
e gli "avvoltoi" che depredano
Treviso bombardata (22.3.45)  
Trascrizione

I vampiri saranno denunciati ai Tribunali di guerra
Sentiamo il dovere di additare al pubblico disprezzo quelle torme di "vampiri" che di mattina, giorno e sera si aggirano sui quartieri devastati dalle bombe nemiche per trafugare dalle macerie legname e quanto possa servire per loro comodo ed uso. E' una cosa che suscita la generale deplorazione e, soprattutto, lo sdegno delle persone oneste e di sentimenti veramente italiani. 
Abbiamo visto non solo portare via pezzi di legna da ardere ma carrette con quintali di travature, oggetti casalinghi ed anche biancheria in danno di famiglie rimaste prive di tutto.
Il legname ricuperato non  potrebbe servire invece per le necessarie riparazioni, per costruire barche o qualche altra cosa di urgente necessità? E' una piaga che deve essere prontamente fatta sparire. Quello che poi è più sconsolante è  che, come avvoltoi, piombano in città anche individui dalla campagna, magari provvisti in casa loro di ogni grazia di Dio. 
Ci consta in proposito che le autorità adotteranno rigorose misure per reprimere tali gravissimi reati denunciando senz'altro i colpevoli al tribunale di guerra. 

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