La situazione a Treviso alla vigilia dell’insurrezione popolare
Negli ultimi giorni della seconda guerra mondiale il Comitato di Liberazione di Treviso si muove con prudenza, cercando nei limiti del possibile di evitare spargimento di sangue. Malgrado «le formazioni a mezzo dei loro capi si dichiarino pronte e desiderose di iniziare l'occupazione della città» e «nonostante gli ordini ricevuti per radio [1]», il CLN trevigiano riunitosi in seduta straordinaria il 26 aprile 1945, «delibera di pregare l'Em. Monsignor Vescovo di Treviso [Antonio Mantiero] di vedere se sia possibile ottenere, come già è avvenuto in altre città con l'aiuto delle Autorità Ecclesiastiche, che tedeschi e fascisti depongano spontaneamente le armi con le modalità che in tal caso saranno fissate dal Comitato stesso»[2].
Il giorno successivo il Comitato politico e il Comando militare della resistenza trevigiana [3], riunitisi congiuntamente nella canonica di Fontane, decidono — viste le trattative in corso fra il vescovo Mantiero e il comando tedesco — di autorizzare le operazioni nella zona circostante la città, ma di attendere prima di passare all’occupazione del capoluogo. Nel corso della riunione viene anche fatto il punto sulle forze a disposizione dei partigiani. Si tratta di «4000 uomini, dei quali 2500 armati e 1000 di questi provvisti di armi automatiche» [4].
Se si pensa che attorno alla città (a Sant’Angelo, Silea e alle Corti) sono presenti, e non intendono arrendersi, tre batterie contraeree tedesche dotate ciascuna di sei pezzi da 8,8 cm FlaK che oltre ad essere in grado di sparare fino a otto km di altezza possono essere utilizzati in funzione "controcarro" [5] e quindi potrebbero distruggere quanto ancora resta in piedi dentro le mura di Treviso, si comprende come prudenza e trattative siano ampiamente giustificate [6].
E si comprende anche come ci sia urgente bisogno di armi da distribuire a chi ne è sprovvisto.
Partigiani di Treviso - "Sette giovani eroi di Fiera" - Resistenza, Liberazione, Villorba, Fiera - Treviso, Veneto - Sette degli otto partigiani fucilati a Villorba (TV) dalle SS all'alba del 29 aprile 1945. Da sinistra: Italo Buttazzoni, Libero Mion, Umberto Caldato, Vladimiro Benvenuto, Luigi Fantin, Giovanni Gobbo e Luigi (Giuseppe) Mestriner. Manca Antonio Avallone, di Cava de' Tirreni (SA) (Il Gazzettino, cronaca di Treviso, 4 maggio 1946). |
In questo quadro si inserisce l’iniziativa dei partigiani che furono fucilati a Villorba
all’alba di domenica 29 aprile 1945. La loro partenza avvenne la sera del 27 aprile, alle 20, da Porto di Fiera. Destinazione: prelevamento di armi alla caserma De Dominicis.
Il gruppo di patrioti partì con un camioncino FIAT 18BL [7] della ditta di autotrasporti e riparazioni Mirko Fermi & Carlo Mazzon con sede nella riva sinistra del fiumicello Storga, a poca distanza dal grande deposito di generi alimentari della SEPRAL (Sezione provinciale dell'alimentazione), ospitato negli ex mulini Mandelli [8].
A confermare la partenza dalla Storga è innanzitutto il partigiano della Brigata “Bocia” [Bottacin], Rino Botter [9]. In una sua relazione sull’episodio, scritta nel 1950 ca. — e anche in una testimonianza raccolta nel 2017 — Botter ricorda che il promotore di questa azione fu Italo Buttazzoni il quale, venuto a conoscenza che la caserma De Dominicis sulla strada per Santa Bona era pressoché sguarnita, decise di farvi un’incursione per rifornirsi di armi in vista dell’imminente occupazione della città [10].
Oltre a Buttazzoni, salirono sul camioncino il guidatore Alerame Zanin, Umberto Caldato, Luigi Fantin, Giovanni Gobbo, Giuseppe Mestriner e Libero Mion. “Tutti ragazzi del paese” [Porto di Fiera], ricorda Elio Cibin [11], che si conoscevano e che gravitavano attorno alle attività lavorative legate al movimento delle merci lungo il Sile con i burci: barcari, facchini, piccoli artigiani [12].
La prima tappa del camion fu a Santa Bona dove al gruppo si unirono altri due partigiani, Antonio Avallone e Vladimiro Benvenuto che abitavano nelle case popolari di quella che ora è chiamata via Bindoni. Da qui il drappello tentò di entrare nella vicinissima caserma De Dominicis, ma trovando resistenza, desistette.
«Alla loro partenza da Fiera mi ero tanto raccomandato, ricorda Rino Botter “se alla De Dominicis vi è impossibile entrare, tornate a casa”, ma non mi ubbidirono».
I nove partigiani si diressero infatti alla cartiera Burgo di Mignagola, che in quei giorni era stata destinata a campo di raccolta di prigionieri fascisti e tedeschi [13] e che era sotto il controllo dei partigiani della Bottacin, fra i quali aveva un notevole ruolo gerarchico il paesano Marcello Caldato “Sauro”. È dalla cartiera che, secondo Elio Cibin, i patrioti furono inviati sul Montello, sempre in missione recupero armi [14].
Stavano percorrendo col loro camioncino via Trento, la strada che dalla Postumia romana ['a Postioma] si dirige a Villorba, quando incontrarono una persona a cui chiesero se in paese ci fossero dei tedeschi. L’uomo disse di no [15]. I partigiani proseguirono ma giunti alla curva che immette al centro storico — più o meno all’altezza del capitello — si trovarono circondati dalle SS [16].
Senza che avessero fatto in tempo a sparare neppure un colpo, furono fatti scendere, percossi e condotti alle vicine scuole comunali, dove si trovavano già altri cinque partigiani fatti prigionieri sempre dai tedeschi nella stessa giornata di venerdì 27 aprile, pare a Fontane [17].
Alla notizia della nuova cattura intervenne il parroco del paese il quale però, a detta di molti ex partigiani, si mosse in modo inadeguato. Forse perché, durante una precedente presenza di tedeschi in paese, aveva potuto constatare la loro “massima disciplina e grande rispetto” [18], don Giuseppe Bagaglio prese per buona la promessa del comandante delle SS su una loro sicura liberazione al momento della partenza delle truppe tedesche, tralasciando quindi ogni possibile incontro con i comandi partigiani.
Secondo Cibin, più che un improponibile assalto per la liberazione dei prigionieri, i partigiani avrebbero potuto proporre uno scambio di uomini, perché il numero di tedeschi in loro mano era ormai già consistente.
Al di fuori di ogni (mancata) trattativa ufficiale, prese corpo invece l’intervento personale di Elisabetta Bortoletto, una ragazza di Fontane che lavorava come interprete presso il comando tedesco di Sant’Artemio [19]. Fu merito suo, secondo la ricostruzione di Onorio Ghirardo, che ebbe modo di intervistare la Bortoletto, se il gruppo di partigiani (o sospetti tali) catturati a Fontane, vennero liberati. Il compito della ragazza fu reso possibile dal fatto che i giovani rimessi in libertà - uno dei quali era suo fratello - erano tutti senza armi.
Anche Alerame Zanin, uno dei nove partigiani del gruppo di Fiera, fu liberato. Il merito della sua liberazione fu di Buttazzoni e compagni: sostennero che lui era solo un autista e che l'avevano costretto ad accompagnarli, prova ne era il fatto che non fosse armato.
I fucilati del 3 maggio 1808, di Francisco Goya. |
Approfittando della concitazione del momento e della semioscurità, due di loro tentarono la fuga, ma non riuscirono neppure a raggiungere il vicino fossato che costeggiava via Trento che una raffica di mitra li abbatté [21]. Poi fu la volta degli altri sei.
Il punto esatto in cui furono fucilati è indicato dalla lapide posta a futura memoria dal comune di Villorba nel lato nord del cimitero.
Sarà Alerame Zanin, nella mattina stessa di domenica 29 aprile a mettersi in contatto, a mezzo del commissario politico delle Brigate Garibaldine, Carlo Geromin “Vittorio”, con il Comando Piazza partigiano; al quale non restò che prendere atto dell'accaduto e rispondere con un drastico: « ... rappresaglie anche per questo fatto» [22].
I corpi dei fucilati vennero raccolti e deposti nella cappella mortuaria del cimitero.
I funerali si svolsero nelle parrocchie dove i partigiani abitavano.
Sicuramente i funerali di Umberto Caldato, Luigi Fantin, Luigi Mestriner e Libero Mion furono celebrati a Fiera, con grande affluenza dei paesani.
Anche se, ricorda Elio Cibin, ci fu qualche commento amaro, tipo «non dovevano andare, potevano stare a casa»; pur essendo Fiera un paese in gran maggioranza e storicamente antifascista [23].
Sarà Alerame Zanin, nella mattina stessa di domenica 29 aprile a mettersi in contatto, a mezzo del commissario politico delle Brigate Garibaldine, Carlo Geromin “Vittorio”, con il Comando Piazza partigiano; al quale non restò che prendere atto dell'accaduto e rispondere con un drastico: « ... rappresaglie anche per questo fatto» [22].
I corpi dei fucilati vennero raccolti e deposti nella cappella mortuaria del cimitero.
I funerali si svolsero nelle parrocchie dove i partigiani abitavano.
Sicuramente i funerali di Umberto Caldato, Luigi Fantin, Luigi Mestriner e Libero Mion furono celebrati a Fiera, con grande affluenza dei paesani.
Anche se, ricorda Elio Cibin, ci fu qualche commento amaro, tipo «non dovevano andare, potevano stare a casa»; pur essendo Fiera un paese in gran maggioranza e storicamente antifascista [23].
Cippo ai partigiani fucilati a Villorba dalle SS. Inaugurazione domenica 28 aprile 1946. Partenza da Fiera (TV), osteria al Macallè. (Gazzettino 28.4.1946). |
L'iscrizione, «anche se non ne ho la certezza, penso sia stata opera di Pietro Fregonese, il papà di Elio», afferma Elio Cibin [25].
Il piccolo monumento fu inaugurato nel primo anniversario, domenica 28 aprile 1946 .
Da allora ad ogni 25 aprile il cippo sarà appuntamento immancabile per gli ex partigiani e il “popolo di Fiera”.
«Ma di anno in anno siamo sempre meno», commenta con amarezza Diego Agnoletto, figlio e nipote di partigiani di Fiera.
«Ma di anno in anno siamo sempre meno», commenta con amarezza Diego Agnoletto, figlio e nipote di partigiani di Fiera.
Il cippo commemorativo degli otto partigiani fucilati a Villorba dalle SS in ritirata. Il piccolo monumento, eretto dai "liberi compagni e popolo di Fiera" (per iniziativa della locale sezione del PCI) nel primo anniversario della fucilazione, è posto all'ingresso del cimitero di Villorba. Il cippo non riporta correttamente i nomi dei caduti: manca Antonio Avallone sostituito da Ugo Benvenuto, che fu invece ucciso a S. Maria del Rovere. I nomi esatti sono quelli riportati nella lapide ufficiale del comune di Villorba posta nel luogo in cui i partigiani vennero fucilati. (La Resistenza a Villorba) |
Commemorazione del 25 aprile 2017. Si riconoscono, da sx., Luigino Geromin con la bandiera della Divisione Garibaldina "Sabatucci", cui appartenevano i caduti, e - al centro - Rita D'Aniello la cui storia di bambina del sud che nell'immediato dopoguerra fu ospitata e cresciuta, assieme alla sorella Bianca, dalla famiglia del partigiano e militante del PCI Luigi Cocchetto di Porto di Fiera è ricordata a p. 85 del libro di Bruna Fregonese "Le carte di Bruna". - (Foto e informazioni di Diego Agnoletto). |
I fucilati di Villorba - 29.4.1945, 8 partigiani -
La lapide che ricorda gli otto partigiani fucilati dalle SS in fuga all'alba del 29 aprile 1945: Wladimiro Benvenuto, Libero Mion, Luigi Mestriner, Umberto Caldato, Italo Buttazzoni, Luigi Fantin, Giovanni Gobbo, Antonio Avallone. |