mercoledì 21 marzo 2018

29 aprile 1945: otto partigiani fucilati a Villorba

La situazione a Treviso alla vigilia dell’insurrezione popolare
Negli ultimi giorni della seconda guerra mondiale il Comitato di Liberazione di Treviso si muove con prudenza, cercando nei limiti del possibile di evitare spargimento di sangue. Malgrado «le formazioni a mezzo dei loro capi si dichiarino pronte e desiderose di iniziare l'occupazione della città» e «nonostante gli ordini ricevuti per radio [1]», il CLN trevigiano riunitosi in seduta straordinaria il 26 aprile 1945, «delibera di pregare l'Em. Monsignor Vescovo di Treviso [Antonio Mantiero] di vedere se sia possibile ottenere, come già è avvenuto in altre città con l'aiuto delle Autorità Ecclesiastiche, che tedeschi e fascisti depongano spontaneamente le armi con le modalità che in tal caso saranno fissate dal Comitato stesso»[2].
Il giorno successivo il Comitato politico e il Comando militare della resistenza trevigiana [3], riunitisi congiuntamente nella canonica di Fontane, decidono — viste le trattative in corso fra il vescovo Mantiero e il comando tedesco — di autorizzare le operazioni nella zona circostante la città, ma di attendere prima di passare all’occupazione del capoluogo. Nel corso della riunione viene anche fatto il punto sulle forze a disposizione dei partigiani. Si tratta di «4000 uomini, dei quali 2500 armati e 1000 di questi provvisti di armi automatiche» [4].
Se si pensa che attorno alla città (a Sant’Angelo, Silea e alle Corti) sono presenti, e non intendono arrendersi, tre batterie contraeree tedesche dotate ciascuna di sei pezzi da 8,8 cm FlaK che oltre ad essere in grado di sparare fino a otto km di altezza possono essere utilizzati in funzione "controcarro" [5] e quindi potrebbero distruggere quanto ancora resta in piedi dentro le mura di Treviso, si comprende come prudenza e trattative siano ampiamente giustificate [6].
E si comprende anche come ci sia urgente bisogno di armi da distribuire a chi ne è sprovvisto.

Partigiani di Treviso -  "Sette giovani eroi di Fiera" - Resistenza, Liberazione, Villorba, Fiera - Treviso, Veneto - 
Sette degli otto partigiani fucilati a Villorba (TV) dalle SS all'alba del 29 aprile 1945.
Da sinistra: Italo Buttazzoni, Libero Mion, Umberto Caldato, Vladimiro Benvenuto,
Luigi Fantin, Giovanni Gobbo e Luigi (Giuseppe) Mestriner. Manca Antonio Avallone, di Cava de' Tirreni (SA)

(Il Gazzettino, cronaca  di Treviso, 4 maggio 1946).

In questo quadro si inserisce l’iniziativa dei partigiani che furono fucilati a Villorba
all’alba di domenica 29 aprile 1945. La loro partenza avvenne la sera del 27 aprile, alle 20, da Porto di Fiera. Destinazione: prelevamento di armi alla caserma De Dominicis.
Il gruppo di patrioti partì con un camioncino FIAT 18BL [7] della ditta di autotrasporti e riparazioni Mirko Fermi & Carlo Mazzon con sede nella riva sinistra del fiumicello Storga, a poca distanza dal grande deposito di generi alimentari della SEPRAL (Sezione provinciale dell'alimentazione), ospitato negli ex mulini Mandelli [8].
A confermare la partenza dalla Storga è innanzitutto il partigiano della Brigata “Bocia” [Bottacin], Rino Botter [9]. In una sua relazione sull’episodio, scritta nel 1950 ca.  — e anche in una testimonianza raccolta nel 2017 — Botter ricorda che il promotore di questa azione fu Italo Buttazzoni il quale, venuto a conoscenza che la caserma De Dominicis sulla strada per Santa Bona era pressoché sguarnita, decise di farvi un’incursione per rifornirsi di armi in vista dell’imminente occupazione della città [10].
Oltre a Buttazzoni, salirono sul camioncino il guidatore Alerame Zanin, Umberto Caldato, Luigi Fantin, Giovanni Gobbo, Giuseppe Mestriner e Libero Mion. “Tutti ragazzi del paese” [Porto di Fiera], ricorda Elio Cibin [11], che si conoscevano e che gravitavano attorno alle attività lavorative legate al movimento delle merci lungo il Sile con i burci: barcari, facchini, piccoli artigiani [12].
La prima tappa del camion fu a Santa Bona dove al gruppo si unirono altri due partigiani, Antonio Avallone e Vladimiro Benvenuto che abitavano nelle case popolari di quella che ora è chiamata via Bindoni. Da qui il drappello tentò di entrare nella vicinissima caserma De Dominicis, ma trovando resistenza, desistette.
«Alla loro partenza da Fiera mi ero tanto raccomandato, ricorda Rino Botter “se alla De Dominicis vi è impossibile entrare, tornate a casa”, ma non mi ubbidirono».
I nove partigiani si diressero infatti alla cartiera Burgo di Mignagola, che in quei giorni era stata destinata a campo di raccolta di prigionieri fascisti e tedeschi [13] e che era sotto il controllo dei partigiani della Bottacin, fra i quali aveva un notevole ruolo gerarchico il paesano Marcello Caldato “Sauro”. È dalla cartiera che, secondo Elio Cibin, i patrioti furono inviati sul Montello, sempre in missione recupero armi [14].
Stavano percorrendo col loro camioncino via Trento, la strada che dalla Postumia romana ['a Postioma] si dirige a Villorba, quando incontrarono una persona a cui chiesero se in paese ci fossero dei  tedeschi. L’uomo disse di no [15]. I partigiani proseguirono ma giunti alla curva che immette al centro storico — più o meno all’altezza del capitello — si trovarono circondati dalle SS [16].

Villorba, via Trento. Alla fine del rettilineo: il capitello presso il quale vennero catturati dalle SS
tedesche i partigiani provenienti da Porto di Fiera la sera del 27 aprile 1945. (Google Street View).

Senza che avessero fatto in tempo a sparare neppure un colpo, furono fatti scendere, percossi e condotti alle vicine scuole comunali, dove si trovavano già altri cinque partigiani fatti prigionieri sempre dai tedeschi nella stessa giornata di venerdì 27 aprile, pare a Fontane [17].
Alla notizia della nuova cattura intervenne il parroco del paese il quale però, a detta di molti ex partigiani, si mosse in modo inadeguato. Forse perché, durante una precedente presenza di tedeschi in paese, aveva potuto constatare la loro “massima disciplina e grande rispetto” [18], don Giuseppe Bagaglio prese per buona la promessa del comandante delle SS su una loro sicura liberazione al momento della partenza delle truppe tedesche, tralasciando quindi ogni possibile incontro con i comandi partigiani.
Secondo Cibin, più che un improponibile assalto per la liberazione dei prigionieri, i partigiani avrebbero potuto proporre uno scambio di uomini, perché il numero di tedeschi in loro mano era ormai già consistente.
Al di fuori di ogni (mancata) trattativa ufficiale, prese corpo invece l’intervento personale di Elisabetta Bortoletto, una ragazza di Fontane che lavorava come interprete presso il comando tedesco di Sant’Artemio [19]. Fu merito suo, secondo la ricostruzione di Onorio Ghirardo, che ebbe modo di intervistare la Bortoletto, se il gruppo di partigiani (o sospetti tali) catturati a Fontane, vennero liberati. Il compito della ragazza fu reso possibile dal fatto che i giovani rimessi in libertà - uno dei quali era suo fratello - erano tutti senza armi.
Anche Alerame Zanin, uno dei nove partigiani del gruppo di Fiera, fu liberato. Il merito della sua liberazione fu di Buttazzoni e compagni: sostennero che lui era solo un autista e che l'avevano costretto ad accompagnarli, prova ne era il fatto che non fosse armato.
I fucilati del 3 maggio 1808,
di Francisco Goya. 
All’alba del 29 aprile gli otto partigiani, con le mani in alto e scortati dalle SS, furono accompagnati al muro di cinta del cimitero per essere fucilati [20].
Approfittando della concitazione del momento e della semioscurità, due di loro tentarono la fuga, ma non riuscirono neppure a raggiungere il vicino fossato che costeggiava via Trento che una raffica di mitra li abbatté [21]. Poi fu la volta degli altri sei.
Il punto esatto in cui furono fucilati è indicato dalla lapide posta a futura memoria dal comune di Villorba nel lato nord del cimitero.
Sarà Alerame Zanin, nella mattina stessa di domenica 29 aprile a mettersi in contatto, a mezzo del commissario politico delle Brigate Garibaldine, Carlo Geromin “Vittorio”, con il Comando Piazza partigiano; al quale non restò che prendere atto dell'accaduto e rispondere con un drastico: « ... rappresaglie anche per questo fatto» [22].
I corpi dei fucilati vennero raccolti e deposti nella cappella mortuaria del cimitero.
I funerali si svolsero nelle parrocchie dove i partigiani abitavano.
Sicuramente i funerali di Umberto Caldato, Luigi Fantin, Luigi Mestriner e Libero Mion furono celebrati a Fiera, con grande affluenza dei paesani.
Anche se, ricorda Elio Cibin, ci fu qualche commento amaro, tipo «non dovevano andare, potevano stare a casa»; pur essendo Fiera un paese in gran maggioranza e storicamente antifascista [23].
Cippo ai partigiani fucilati a Villorba dalle SS.
Inaugurazione domenica 28 aprile 1946. Partenza da
Fiera (TV), osteria al Macallè. (Gazzettino 28.4.1946).
In onore dei partigiani caduti, i “liberi compagni e il popolo di Fiera” a mezzo di una sottoscrizione popolare promossa “dall'industriale Mirko Fermi” in accordo con la locale sezione del Partito Comunista innalzarono un loro cippo, costruito dai marmisti fratelli Bisetto e posto all’ingresso del cimitero [24].
L'iscrizione, «anche se non ne ho la certezza, penso sia stata opera di Pietro Fregonese, il papà di Elio», afferma Elio Cibin [25].
Il piccolo monumento fu inaugurato nel primo anniversario, domenica 28 aprile 1946 .
Da allora ad ogni 25 aprile il cippo sarà appuntamento immancabile per gli ex partigiani e il popolo di Fiera”.
«Ma di anno in anno siamo sempre meno», commenta con amarezza Diego Agnoletto, figlio e nipote di partigiani di Fiera.





Il cippo commemorativo degli otto partigiani fucilati a Villorba dalle SS in ritirata.
Il piccolo monumento, eretto dai "liberi compagni e popolo di Fiera"  (per iniziativa della locale sezione del PCI) 
nel primo anniversario della fucilazione, è posto all'ingresso del cimitero di Villorba. 
Il cippo non riporta correttamente i nomi dei caduti: manca Antonio Avallone
sostituito da Ugo Benvenuto, che fu invece ucciso a S. Maria del Rovere.
I nomi esatti sono quelli riportati nella lapide ufficiale del comune di Villorba
posta nel luogo in cui i partigiani vennero fucilati.
(La Resistenza a Villorba) 


Commemorazione del 25 aprile 2017. Si riconoscono, da sx., Luigino Geromin con la bandiera
della Divisione Garibaldina "Sabatucci", cui appartenevano i caduti, e - al centro - Rita D'Aniello
la cui storia di bambina del sud che nell'immediato dopoguerra fu ospitata e cresciuta, 
assieme alla sorella Bianca, dalla famiglia del partigiano e militante del PCI Luigi Cocchetto di Porto di Fiera
è ricordata a p. 85 del libro di Bruna Fregonese "Le carte di Bruna". - (Foto e informazioni di Diego Agnoletto).

La Resistenza a Villorba - 
Lapide partigiana al cimitero di Villorba in memoria degli otto fucilati dalle SS il 29 aprile 1945.
Commemorazione ufficiale del 25 aprile 1990, presente il vicesindaco Giacomo Pascotto.
(Archivio fotografico del Comune di Villorba)

Commemorazione del 25 aprile 2017 davanti alla lapide posta dal comune di Villorba nel muro di cinta
del cimitero dove, il 29 aprile 1945, furono fucilati dalle SS otto partigiani. (Foto di Diego Agnoletto).

I fucilati di Villorba - 29.4.1945, 8 partigiani - 
La lapide che ricorda gli otto partigiani fucilati dalle SS in fuga all'alba del 29 aprile 1945: 
Wladimiro Benvenuto, Libero Mion, Luigi Mestriner, Umberto Caldato,
Italo Buttazzoni, Luigi Fantin, Giovanni Gobbo, Antonio Avallone.


                                




NOTE - Partigiani fucilati a Villorba

1] Ordini ricevuti dal CLN Alta Italia. L’insurrezione popolare era già iniziata il 24 aprile a Genova (dove i tedeschi si arresero ai partigiani il giorno successivo) e a Milano il 25 aprile, quando il CLNAI proclama disciolto lo stato fascista e le sue forze armate.
[2] Verbale della seduta del 26 aprile 1945 del CLNP di Treviso in Marco Borghi, Dopo la guerra. Politica, amministrazione e società nei verbali del CLN provinciale…  , p. 83.
[3] Il comitato politico (CLNP) era composto dai rappresentati del Partito Comunista, Partito d’Azione, Democrazia Cristiana, Partito Socialista e Partito Liberale - vedi manifesto del 28 aprile1945; i repubblicani (PRI) e i cristiano sociali (PCS), pure attivi nella resistenza trevigiana, nella sua fase finale non facevano parte del CLN. Le motivazioni di questa assenza in Borghi, cit., pp. 20-21.
Il comando militare del Corpo Volontari della Libertà (CVL) era composto da Ennio Caporizzi "Gerardi", comandante militare della Piazza [PCI], Umberto Romagnoli "Carini", vice comandante della Piazza [DC], Guido Tonello "Turno", Capo di Stato Maggiore [Giustizia e Libertà], Pasquale
Ricapito ["Leto"], inviato del Comando Generale Alta Italia.
[4] Cfr. la cronologia in “28 aprile 1945, Treviso. Il CLN ordina l’insurrezione”. (Blog Treviso 1945, Liberazione ).
[5] «Il proiettile [del cannone contraerei 8,8 cm Flak] ad alto esplosivo aveva una quota massima di 9.900 m, ma raggiungeva la massima efficacia a 8.000 m, la massima gittata nel tiro terrestre era di 14 800 m. Utilizzato come arma anticarro poteva impegnare bersagli con il tiro nel primo arco (tiro diretto) fino a 3000 m». (Wikipedia).
[6] L’ordine di occupazione della città di Treviso verrà dato nel pomeriggio del 28 aprile.
Nel frattempo le forze armate venete della RSI si erano arrese senza condizioni alle forze della Resistenza (27 aprile ore 20,30, Padova, cfr. Azioni militari del periodo insurrezionale... , p. 18). Pertanto non fu attuato il piano di difesa del capoluogo messo a punto il 20 marzo 1945 dal 29° Comando Militare Provinciale. (Borghi, cit . p. 30). Da parte loro le brigate nere di Treviso — dopo che al mattino del 27 aprile avevano consegnato al vescovo Antonio Mantiero (recatosi dal federale Galante con una proposta di resa stilata dai partigiani) una controproposta in cui ponevano le proprie condizioni si erano fulmineamente eclissate, senza attenderne l'esito. (Maistrello, XX Brigata Nera... , pp. 190-191).
[7] La precisazione sul modello del camioncino utilizzato dai partigiani è di Mario, figlio di Carlo Mazzon, uno dei due soci. (File 17012603).
[8] Gli storici mulini Mandelli, attivi già in epoca veneziana quando macinavano per la Serenissima, sorgevano alla confluenza della Storga con il Sile.
Per la SEPRAL la Fermi&Mazzon aveva a disposizione stabile uno dei suo camion.
«Mio papà possedeva, insieme a Mirco Fermi due FIAT 18 BL […] su uno dei due era scritto SEPRAL - Sezione provinciale alimentazione - e quello era intoccabile». Testimonianza di Mario Mazzon, file 17012603, 02:20 .
[9] Botter, nato il 30.12.1924, abitava a Silea e gestiva un laboratorio di riparazioni radio fra la strada Callalta e la restera del Sile, a Porto di Fiera, nella casa e in società con Romeo Caldato, partigiano della Bottacin e fratello del più noto Marcello Caldato “Sauro”, che nei giorni dell’insurrezione fu a capo della stessa brigata Bottacin: la “Brigata Bocia” , così chiamata da Botter.
La partenza dei partigiani “dalla Storga” è confermata anche da Ferdinanda Arrigoni di Villorba, che ricorda come anche a suo padre - che lavorava per l’appunto alla Storga - i partigiani avevano chiesto di unirsi a loro, ma lui si rifiutò avvertendo che Villorba “era piena di tedeschi”. (File 170011909, 01:33-02:50).
[10] La relazione di Botter è stata consegnata all'Autore in occasione dell'intervista effettuata a Fiera il 30 gennaio 2017 (file 17013004).
Italo Buttazzoni, che abitava in via Dandolo nei pressi della stazione ferroviaria, frequentava i partigiani di Fiera. Ricorda Botter: «Era militare di leva e veniva da noi in bottega entrando da via Callalta e usciva disarmato dalla parte del Sile. Lasciava lì il fucile per i partigiani e noi lo mettevamo in una cassa che avevamo sepolto nell’orto». (File 17013004, 04:46).
[11] Elio Cibin, 30 giugno 1927 - 10 aprile 2017, sindacalista e dirigente della Cgil, non faceva parte di nessuna brigata partigiana, ma per residenza (via Callalta - Porto di Fiera), ambiente sociale e frequentazioni, era “organico” al movimento di Resistenza e, in particolare dopo la
Liberazione, con la sua militanza nel PCI e nel sindacato, fu a contatto con tutti i protagonisti della guerriglia di pianura. Cibin non ha dubbi che la sfortunata azione dei partigiani di Fiera non sia stata improvvisata, ma rispondesse a una precisa richiesta delle formazioni partigiane
della zona. La testimonianza di Cibin è stata raccolta il 26 gennaio 2017 (file 17012601) nella sua abitazione di via Veronese, a Fiera, presenti - oltre alla moglie Adalcisa (Milena) - Adriano Caldato e il laureando Nicola Gnocato.
[12] Cibin, Idem , 03:15.
[13] [27 aprile 1945] «I prigionieri tedeschi, i fascisti ed i materiali che man mano vengono catturati sono tradotti alla Cartiera Burgo e consegnati al comando della Brigata, dove, per le spie fasciste di notoria attività criminosa, si è costituito un Tribunale partigiano.
I prigionieri di guerra tedeschi, invece, vengono trattati secondo le convenzioni internazionali». (“Breve relazione sulle operazioni di guerra [...] della Brigata 'U. Bottacin', 25 aprile-8 maggio 1945”, in Brunetta, 1945: la Cartiera Burgo... , p. 104).
Solo nella seduta del CLNP del 3 maggio 1945 verranno indicate «come unico campo di concentramento dei detenuti politici e dei prigionieri di guerra (con sezioni distinte) le caserme di Monigo». (Borghi, cit ... , p. 93).
[14] Cibin, Idem , 01:20 e 11:16.
[15] Cibin, Idem , 02:30.
[16] Praticamente “gli andarono  in bocca”, commenta Agostino Zago. (File 17012001, 13:56).
[17] Che all’interno delle scuole di Villorba non ci fossero solo i partigiani partiti dalla Storga lo sappiamo dalla cronistoria del parroco di Villorba don Giuseppe Bagaglio, il quale afferma che il 29 mattino furono uccisi otto dei quattordici “patriotti” «catturati due giorni prima a Fontane».
Anche lo storico locale Onorio Ghirardo parla di una quindicina di partigiani prigionieri all’interno delle scuole elementari di Villorba.
[18] «Dal 15 novembre 1944 al 17 gennaio 1945, l’Asilo Infantile, retto dalle Suore (Sorelle della Misericordia di Verona), fu occupato da un reparto germanico. Durante tutto quel tempo ho potuto constatare la massima disciplina e grande rispetto, sia da parte degli ufficiali che dai soldati». (Cronistorie di guerra ... 1939-1945,  p. 832)
[19] Bortoletto, per questa sua attività con i tedeschi non ebbe vita facile nel dopoguerra e per non essere bersaglio di possibili vendette si rifugiò a Conegliano, dove avvenne l’incontro-intervista con Onorio Ghirardo.
[20] Testimonianza di Agostino Zago, che ricorda quanto gli riferì un suo parente, Riccardo Zago, abitante nella casa di fronte al Capitello del Cristo”, nel luogo in cui avvenne la cattura dei partigiani di Fiera la sera del 27 aprile 1945.
[21] «Erano i due più anziani [... e, fra gli altri sei,] ce n’era uno molto giovane, aveva i calzoncini corti, avrà avuto 18 anni, sembrava un ragazzino [paréa un tosatel] ». Testimonianza di Agostino Zago, Villorba, 1932. (File 17012001, 08:26 e 09:56). Quella domenica mattina il chierichetto Agostino accompagnò il cappellano a portare gli Oli Santi ai fucilati.
Sulla disperata fuga verso la salvezza di due fra i condannati a morte, non essendoci stato nessun testimone oculare, ci furono anche anche ad altre versioni. Albino Pizzolato, ad esempio, riportando i ricordi di sua madre, afferma che i due avevano già raggiunto il fossato quando furono rincorsi e lì fucilati dalle SS. Sarà poi il fratello del custode del cimitero a raccoglierli e a portarli vicino agli altri. (Comunicazione all'Autore, 25 aprile 2017).
[22] Per la reazione del Comando Piazza di Treviso, cfr. Schiavetto, Intervista a Enrico Opocher..., Documento 38: “Comunicazione di Vittorio, commissario del Gruppo Brigate Garibaldi di Treviso al Comando Piazza”, pp. 197-198. Nella concitazione di quelle ore l'episodio venne riferito come accaduto a Povegliano, ma si tratta senza alcun dubbio della fucilazione di Villorba.
[23] La ricerca nell'archivio parrocchiale di Fiera è stata effettuata da Adriano Caldato.
Sulla grande partecipazione popolare ai funerali dei partigiani e sui commenti della popolazione, cfr. testimonianza di Elio Cibin, file 17012601, 16:20 e 20:12.
[24] La voce popolare, a Fiera, vuole che sul muro del cimitero siano ancora presenti i fori delle pallottole sparate ai partigiani. In effetti, nella parete alle spalle del piccolo monumento posto di fronte all’ingresso del cimitero ci sono delle sbrecciature nelle pietre che possono far pensare all’impatto delle pallottole, «ma non è così, precisa Onorio Ghirardo, perché i partigiani non furono fucilati in quel punto, ma nella parete nord del cimitero dove è posta la lapide del comune di Villorba».
[25] Intervista a Elio Cibin del 26 gennaio 2017, 17:42-19:45, sintesi.
Elio Fregonese fu partigiano, dirigente sindacale, deputato del PCI e nel 1992 fondatore dell'Istresco, assieme a un altro partigiano, il due volte sindaco DC di Castelfranco Veneto, Gino Sartor.

domenica 18 marzo 2018

DOCUMENTI - Partigiani fucilati a Villorba


La relazione del partigiano Rino Botter (Porto di Fiera - Treviso)

Rino Botter, partigiano di Fiera, ricorda la genesi dell'azione di Italo Buttazzoni
e degli altri partigiani fucilati a Villorba dalle SS il 29 aprile 1945. 
(Archivio privato Rino Botter, Fiera (TV) - Date e firma autografe)

Trascrizione

I Partigiani fucilati (1945)

«La preoccupazione di doversi scontrare con bande di fascisti o tedeschi, ci poneva il problema di ricuperare delle armi, visto che quelle a nostra disposizione erano insufficienti a garantire la difesa in caso di attacco.
Ci giunse la notizia che la caserma De Dominicis, sita sulla via per S. Bona, fine via Luzzatti, era rimasta sguarnita per la defezione dei militari, e che quindi si potevano ricuperare le armi lasciate dagli stessi in fuga.
Un nostro affiliato partigiano, Italo Buttazzoni, pensò di organizzare una spedizione per ricuperare le armi, ed a tale scopo si mise d’accordo con altri sette ragazzi per andare alla caserma e allo scopo chiese consenso a me che in quel momento avevo la responsabilità della brigata. Tengo a precisare che, dopo avergli consegnato la mia bicicletta per andare a recuperare i compagni per l’impresa, gli diedi ordine, insistentemente, che se in caserma ci fosse ancora presenza di militari, di tornare indietro e riferire per ulteriori decisioni. Egli mi confermò che avrebbe agito come da me ordinato.
Andò da mio cugino, Carlo Mazzon, a farsi prestare un camioncino, e per guidarlo chiamò Alerame Zanin che era nostro simpatizzante e con tutti i ragazzi si portò alla Caserma.
Purtroppo la caserma, contrariamente alle informazioni, era presidiata da militari.
Italo allora commise il grave errore di non tener conto dei miei ordini, e anziché tornare indietro, si portò verso Villorba per chiedere la collaborazione di un altro gruppo di partigiani per attaccare il presidio della caserma. Purtroppo, nel percorso, si imbatté in una colonna di soldati tedeschi in ritirata, provenienti da una zona non controllata dall’accordo di tregua *, ai quali però si arresero per evitare il peggio. Il parroco di Villorba, venuto a conoscenza della situazione, intervenne presso i tedeschi ed ebbe assicurazione che i ragazzi sarebbe stati rilasciati il mattino successivo, alla partenza della colonna militare. Invece i tedeschi, prima di partire, portarono i ragazzi alla mura del cimitero e li fucilarono. La terribile notizia ci fu portata da Alerame il quale si salvò perché Italo, nonostante la drammatica situazione, ebbe la forza, al fine di salvare almeno lui, di dire ai tedeschi che non c’entrava con loro e che lo avevano costretto con le armi ad accompagnarli.
Alerame portò la notizia a me e a Romeo Caldato * * che in quel momento si trovava con me e gli raccomandammo di non far trapelare la notizia finché non avessimo informato le relative famiglie onde evitare che si creassero allarmismi non controllati, assai pericolosi in quella situazione. Immediatamente, con Romeo, mi presi il doloroso incarico di informare le famiglie più vicine ed inoltre pregai il parroco di Fiera, don Giovanni Michelan di avvisare il altri. Non dimenticherò mai il trauma dei famigliari e del parroco stesso nel dar loro la terribile notizia». Rino Botter (1950 circa)

* Botter si riferisce alle difficili e lunghe trattative che portarono alla resa della contraerea di Silea, nella notte tra il 28 e il 29 aprile 1945. Trattative di cui rievoca le conclusioni anche in un’intervista del 30 gennaio 2017, file 17013004, 12:42- 13:36.
* * Romeo Caldato "Giacobbe", di Silvio e Taffarello Maria, nato a Fiera il 12.2.1921, radiotecnico, militare nella R. Aeronautica - allievo sergente pilota, era intendente del Gruppo Brigate Garbaldi di Treviso. Il fratello Marcello Caldato "Sauro", nato il 10.1.1919, radiotecnico, militare nella R. Marina col grado di "maresciallo - torpediniere" nei giorni dell'insurrezione popolare era comandante della Brigata Bottacin. (Dati presenti nelle relative domande di iscrizione all'ANPI, Aistresco b. 47, fondo Anpi)


29 aprile 1945 ore 10,30 - Dispaccio del commissario di guerra del Gruppo Brigate Garibaldi Carlo Geromin "Vittorio" al Comando Piazza di Treviso

Si basa su quanto riferito dall’unico scampato alla fucilazione, Alerame Zanin.
Nella concitazione del momento — il rapporto è stilato “a caldo” nella stessa mattinata del
29  aprile — viene confuso il paese di Villorba con Povegliano, che forse era il luogo di destinazione del camion dei partigiani. Altre imprecisioni si riscontrano nel numero dei partigiani e dei fucilati (dieci anziché nove) e nella modalità della fucilazione, che non avvenne sul posto.
Ma il documento si riferisce inequivocabilmente al fatto di Villorba.


Alle 10,30 del 29 aprile, il commissario delle brigate garibaldine
Carlo Geromin “Vittorio” comunica al Comando Piazza di Treviso la fucilazione dei partigiani a Villorba,
nella concitazione del momento scambiata per Povegliano.
(Da Fausto Schiavetto, Intervista ad Enrico Opocher ... ,  documento n. 38, pp. 197-198)

Trascrizione


Corpo Volontari della Libertà
Gruppo Brigate d’Assalto Garibaldi
Z.O. 29/4/45 : ORE 10,30
Al Comando Piazza […]
«Vi informiamo che una nostra pattuglia di 10 uomini S.A.P. partiva in camion il 27 scorso alle ore 20 precise da Fiera alla volta di Povegliano.
All’entrata in paese di Povegliano la nostra squadra veniva bloccata da un’autocolonna tedesca.
I nostri uomini vista la superiorità numerica e nella impossibilità di sganciarsi, cedettero le armi senza sparare un colpo. I tedeschi procedettero al disarmo e, dopo aver rilasciato l’autista, FUCILARONO sul posto i nove uomini in loro mano.
L’autista di comune accordo col parroco del paese ha stabilito la loro sepoltura e, messosi in contatto con nostri gruppi della zona, ha potuto rientrare stamattina e riferire quanto sopra.
Pertanto vi preghiamo vivamente di prendere posizione rispetto ai soldati tedeschi già caduti in nostra mano o che vi cadessero in seguito, e dare disposizioni.
Morte agli invasori tedeschi
Morte ai traditori fascisti
Il commissario politico
del Gruppo Brigate - Treviso
(Vittorio)
[Risposta del Comando Piazza]
Parlamentare ai nuclei di resistenza con nostro foglio intimidatorio
…. rappresaglie anche per questo fatto ».
Fausto Schiavetto, Intervista ad Enrico Opocher ... , doc. n. 38, pp. 197-198.  


Il punto in cui i partigiani furono catturati, la sera del 27 aprile 1945

Il luogo dell'imboscata delle SS. A destra il capitello del Cristo e il campanile di Villorba.
A sinistra la casa di Riccardo Zago, all'esterno della quale i nove partigiani furono radunati e percossi
prima di essere condotti in prigione nelle scuole del paese. (Foto: 8 marzo 2018)


Testimonianze raccolte dallo storico di Villorba Onorio Ghirardo 

Le testimonianze raccolte dal ricercatore cav. Onorio Ghirardo:
sintesi delle interviste effettuate a Delfino Zago, Agostino Zago,
Gino Ghirardo e Giuseppe Fantin. (Archivio privato Onorio Ghirardo)

Trascrizione

Delfino Zago racconta: «Nel pomeriggio del 27 Aprile 1945 un’autolettiga* con 12 partigiani arrivò a Villorba da Fiera di Treviso passando per via Trento (Villorba) dove vennero fermati in un posto di blocco fatto dai tedeschi i quali avevano varie armi tra cui una mitragliatrice. I partigiani dovettero scendere e furono disarmati dopo di che furono allineati al muro della casa della famiglia Zago. Qui furono picchiati, e tra le loro urla si poteva udire la parola “mamma” più volte invocata … alcuni di loro caddero a terra dalle percosse ricevute. Da qui furono portati al comando dei Tedeschi situato presso la scuola comunale di Villorba.
A causa di quest’evento nel comune si era creato un clima di tensione, per il possibile attacco dei partigiani al fine di liberare i prigionieri dei tedeschi. A questo punto entra in gioco il parroco [Don Giuseppe Bagaglio], il quale fece da intermediario tra i tedeschi ed i partigiani e rassicurò quest’ultimi che prima di lasciare il paese i tedeschi avrebbero liberato i prigionieri. Le vicende non andarono così perché furono liberati solo 4 partigiani e gli altri 8 furono fucilati dietro le mura del cimitero. Si racconta che i 4 fortunati furono liberati grazie ad una ragazza di Villorba».
Agostino Zago racconta: «Io che facevo il chierichetto nella parrocchia di Villorba fui chiamato dal cappellano per accompagnarlo presso il cimitero dove stava andando a dare la benedizione ai partigiani uccisi. Di questi 6 erano ammucchiati uno sopra l’altro e sporchi di sangue, uno era a circa due metri e l’altro era vicino al fosso…  si pensa avessero tentato la fuga. Tutti avevano un foro in testa».
Gino Ghirardo racconta: «I partigiani locali appena sentito l’avvenuto arresto dei partigiani si mobilitarono per liberarli con l’idea di accerchiare il centro di Villorba. Quest’idea non fu messa in atto grazie al parroco il quale aveva assicurato il futuro rilascio, che in realtà non avvenne».
Giuseppe Fantin racconta: «Vorrei cominciare questo ricordo precisando che questi militari tedeschi che erano a Villorba si vantavano, mostrando delle fotografie, di aver liberato Mussolini dal luogo di prigionia presso il Campo Imperatore.
Ritornando ai fatti i partigiani prigionieri erano rinchiusi nelle scuole e venivano accompagnati per i loro bisogni fisici a casa mia che era situata di fronte al luogo della prigionia. Una sera mentre un partigiano veniva accompagnato nella mia casa mi parlò in dialetto, in modo tale che i tedeschi non potessero capire, e mi chiese di andare dal parroco e chiedergli di suonare le campane così le avrebbe potute sentire per l’ultima volta… Io non ebbi coraggio di chiedere questo al parroco… ed ancora oggi mi rammarica di non aver esaudito il suo ultimo desiderio. Il mattino della fucilazione i tedeschi accesero i motori al fine di confondere le urla dei condannati portati alla fucilazione».

* L’utilizzo di un’autolettiga per questa azione partigiana, non risulta confermato dai testimoni di Fiera, che riferiscono invece dell’uso di un camioncino Fiat 18BL della ditta Fermi&Mazzon.



L'ora della fucilazione (dagli atti di morte del Comune di Villorba)


 La fucilazione dei partigiani a Villorba avvenne “all'alba” del 29 aprile 1945.
Atto di morte di Luigi Fantin. (Ufficio Anagrafe Comune di Villorba) 

Trascrizione



[Comune di Villorba]
Atti di Morte - Parte I - [1945]
[Numero 70 - Fantin Luigi]

L'anno millenovecentoquarantacinque addì sette del mese di Agosto alle ore dieci e minuti cinquanta nella Casa Comunale.
Avanti a me Rigato Luigi applicato, Ufficiale dello stato civile del Comune di Villorba delegato con atto ventuno Aprile millenovecentoquarantadue è comparso Fantin Erminio di fu Rodolfo di anni Ventidue Fonditore residente in Treviso il quale alla presenza dei testimoni Pasquali Guido di Antonio di anni quarantadue Impiegato residente in Villorba e Carrer Luigi di fu Angelo di anni Settanta Impiegato residente in Villorba mi ha dichiarato quanto segue:
Il giorno ventinove del mese di Aprile dell'anno millenovecentoquarantacinque alle ore all'alba [...] nel cimitero di Villorba è morto Fantin Luigi dell'età di anni ventiquattro cittadino italiano [cancellato "di razza"] residente in Treviso Facchino che era nato in Silea da fu Rodolfo Facchino residente in vita a Treviso e da Barbon Maria Casalinga residente in Treviso e che era Celibe.
Letto il presente atto agli intervenuti lo hanno questi con me sottoscritto [...] ».



La testimonianza di Elisabetta Bortoletto raccolta da Onorio Ghirardo


Brano della testimonianza di Elisabetta Bortoletto relativa al suo intervento per strappare alla
fucilazione i partigiani imprigionati nelle scuole di Villorba. (Archivio privato cav. Onorio Ghirardo)

Trascrizione integrale

Intervista alla Sig.ra Elisabetta Bortoletto: «Era il 27.04.1945, ero fuori casa quando passò un’autolettiga che da Fontane andava verso Villorba; a me sembrava un camioncino con dei giovani a bordo. Solo dopo seppi che erano in dodici. Erano infatti le prime ore pomeridiane, quando mi riferirono che quei giovani erano stati catturati dai tedeschi vicino al cimitero di Villorba e che fra loro c’era anche mio fratello.
Io lavoravo come interprete al Comando Generale di Piazza, che si trovava dove è ora Villa Zanetti a S. Artemio *; là ero molto stimata. Il Comandante mi rilasciò un documento di trattare  per quei giovani; mi precipitai a Villorba nelle scuole, luogo in cui i tedeschi delle SS avevano il loro Comando, là avevano anche altri prigionieri tra i quali anche alcuni partigiani. Io sapevo bene il tedesco e cominciai a trattare la liberazione dei giovani; sulle prime mi presero per una spia ma tanti di loro, i più giovani, capivano che non era così. Alcuni giovani prigionieri avevano i documenti rilasciati dal Comando tedesco ed io insistevo su questa documentazione.
Io cercai prima di tutto di salvare mio fratello e poi gli altri, e mentre si discuteva è arrivato un graduato che gli diceva “uccidili, uccidili” ma alla fine ci hanno lasciato.
Quelli che poi sono stati fucilati era perché erano armati. La mia forza era quella che insistevo sulla documentazione che attestava che facevano la guardia ai ponti e alla ferrovia.
Alla fine riuscii a portarne fuori sette, alcuni dei quali erano con mio fratello; si erano aggiunti ai partigiani strada facendo. Una volta rilasciati, i tedeschi addirittura ci fornirono alcune biciclette che avevano requisito i giorni precedenti. Il Comandante mi disse: “vada, vada, che i tempi stringono” e tutti e otto arrivammo a casa mia nella tarda mattinata del giorno dopo.
Come vicini di casa avevamo una famiglia di cosiddetti partigiani, molto crudeli, e noi avevamo tanta paura, perché io lavoravo al Comando germanico come interprete e loro pensavano che fossimo dei collaboratori dei tedeschi. Tutti noi rilasciati da Villorba ci nascondemmo in una soffitta per alcuni giorni finché le acque si furono calmate.
Quella notte il parroco sapeva che molti dei partigiani venivano uccisi perché fatti prigionieri con armi, e mi affidò una lettera da consegnare al Vescovo ** per sapere come doveva comportarsi con i morti fucilati. Mio fratello la consegnò al Vescovo che rispose con una lettera da portare al Parroco di Villorba.
Qualche giorno dopo *** mandai mio fratello Severo detto Lelli a villa Zanetti, ad avvertire il Comando Piazza che garantiva per me in quanto sua interprete di fiducia, ma i cosiddetti partigiani avevano ucciso tutti tedeschi».

Io [Onorio Ghirardo] aggiungo dicendo che il giorno della fucilazione ho visto il fratello della signora con un carretto trainato da un asino con alcuni cofani mortuari per accogliere i fucilati.

* Il Comando Piazza tedesco (Platzkommandantur) si trovava in realtà sì a S. Artemio, ma in Villa Margherita. Cfr. Relazione introduttiva di Federico Maistrello alla serata con Aldo Cazzullo, (Spazi Bomben - Treviso, 10-6.2015), minuto 01:51. Vedi anche la testimonianza di Carlo Minello, 1921, amico del caduto partigiano Consolato Laganà e, durante la guerra, abitante a S. Artemio di fronte a Villa Margherita.
** Di un contatto del parroco di Villorba con il vescovo di Treviso, avvenuto il 29 aprile 1945, c'è traccia nel verbale della seduta del CLN provinciale del 30 aprile 1945. Cfr. Marco Borghi, Dopo la guerra..., p. 85.
*** Si tratta di un'evidente incongruenza, in quanto i tedeschi avevano abbandonato Treviso già domenica 29 aprile, giorno in cui nel capoluogo si insediarono il nuovo prefetto Leopoldo Ramanzini e le altre autorità nominate dal CLN.



La cronistoria del parroco di Villorba don Giuseppe Bagaglio
Cronistoria del parroco di Villorba: «Il Comandante tedesco avea assicurato
il parroco che li avrebbe lasciati liberi tutti... ».
(Cronistorie di guerra ... 1939-1945, a c. di Erika Lorenzon)


Trascrizione

«29 Aprile 1945 = Giornata luttuosa. Una compagnia della S. S. tedesca (si giudica quella stessa che avea liberato il Duce dalla fortezza del Gran Sasso), si rese colpevole dell’uccisione di otto patriotti, catturati due giorni prima a Fontane; il parroco, appena seppe del truce divisamento si interessò, per ottenere la loro liberazione o almeno che, pur rimanendo ostaggi, non venissero fucilati oppure fossero mandati a lavorare in Germania. Fu fiato sprecato: di 14, quanti erano, ne furono uccisi Otto, mentre ripetutamente il Comandante tedesco avea assicurato il parroco che li avrebbe lasciati liberi tutti prima di partire da Villorba. Più doloroso fu che i tedeschi non ebbero nemmeno la lontana idea di favorire i condannati dell’assistenza religiosa: furono fucilati vicino al cimitero inconfessi, mezz'ora prima della partenza dei soldati tedeschi».




27 - 28 aprile 1945: Battaglione Rino e Bruno Chiarello, combattimenti e cattura di soldati tedeschi nei dintorni di Treviso

Nei giorni in cui i patrioti di Fiera erano rinchiusi nelle scuole di Villorba, un solo battaglione partigiano catturò un discreto numero di soldati tedeschi. Pertanto l'ipotesi di uno scambio di prigionieri fra partigiani e tedeschi non sarebbe stata campata in aria. Se non fosse stato per l'assoluta indisponibilità tedesca a trattare con avversari da loro considerati non militari, ma civili "franchi tiratori", con un'interpretazione del tutto restrittiva della Convenzione dell'Aja del 1907 a quel tempo in vigore.
Si veda, per quanto riguarda questo comportamento dell'esercito occupante, l'episodio della resa alla Fonderia ricordato dal testimone Berto Secoli, con i comandanti germanici di quel ricco deposito della sussistenza che pur di non arrendersi ai partigiani andarono a consegnare le armi in casa dell'appuntato dei vigili urbani Secoli, cioè a un uomo in divisa, un rappresentante dell'autorità costituita ... e nel frattempo arrivarono i partigiani a cacciarli, provocando morti e feriti nelle loro fila.

Cattura di prigionieri tedeschi da parte dei partigiani del battaglione Chiarello
nei combattimenti attorno a Treviso dei giorni 27 e 28 aprile 1945.
(Aistresco, ID 123, b.10, fasc. Azioni militari, Diario storico btg. Rino e Bruno Chiarello)

Trascrizione
«Venerdì 27 disarmo dei tedeschi impossessandosi delle armi, arresto di 3 brigate nere nella zona di Treviso mentre un altro gruppo attaccava nei pressi di Vascon un presidio tedesco facendo tre morti e vari prigionieri
Sabato 28 Aprile ore 13 nei pressi di Maserada si attaccava un camion tedesco dopo una ventina di minuti di sparatoria abbiamo avuto la meglio, il nemico ha lasciato sul terreno due morti ed una ventina di feriti. Da parte nostra un ferito leggero. Ore 16 2 camion tedeschi carichi di benzina e munizioni sono stati riquperati, in questa azione abbiamo fatto 17 prigionieri, materiale [e] prigionieri sono stati portati a Mignagola.
Ore 18 un posto di soccorso veniva da noi organizzato in città (S. Francesco) Ore 20 in collegamento con la Brigata Bavaresco un nostro gruppo blocca le strade che dalle Corti porta in città, mentre altri reparti attaccavano la fonderia sita a S. Maria del Rovere, sostenendo un duro combattimento, due dei nostri compagni sono stati feriti, mentre il nemico ha lasciato sul terreno 4 morti e una decina di feriti.
Ore 23 una nostra pattuglia attacca un gruppo di tedeschi (7) sulla strada Circonvallazione fra Porta Manzoni e Porta Filippini disarmandoli e trattenendoli prigionieri.
Ore 23,30 la stessa pattuglia punta direttamente in città da via Manzoni S. Francesco, piazza S. Vito, Piazza dei Signori, S. Leonardo, Piazza Mazzini ove all’uscita della città (Porta S. Tommaso) attacca un camion tedesco che dopo sparatoria riesce a fuggire. Nostri gruppi intanto sono impegnati nei pressi di Villa Margherita (S. Artemio) con formazioni tedesche che tentano la fuga dai vari comandi anche qui sono stati fatti dei prigionieri e recuperato armi».
(Aistresco, ID 123, b.10, fasc. Azioni militari, Diario storico btg. Rino e Bruno Chiarello)


Iniziative dei comunisti di Fiera a favore dei partigiani caduti

Sottoscrizione a favore delle famiglie dei caduti partigiani
indetta a Fiera da Mirko [Mirco] Fermi e dalla sezione del Partito Comunista.
(Il Gazzettino, particolare di un articolo del 25 luglio 1945)

Trascrizione
Il popolo di Fiera / alle famiglie dei caduti / per la liberazione
«La Sezione di Fiera del Partito comunista comunica:
A Fiera subito dopo la liberazione, su iniziativa dell’industriale Fermi Mirko [Mirco], è stata raccolta la somma di L. 320.900 da devolvere alle famiglie dei Caduti per la liberazione ed ai più bisognosi. [...]
Le somme raccolte sono state così distribuite:
A famiglie di Caduti per la Liberazione: Benvenuto Guido 30 mila; Cattarin Giovanni 15 mila; Vedova Mestriner 10 mila; Madre Caduto Mestriner 10 mila; Buttazzoni Cecilio 20 mila; Fantin Maria 20 mila; Gobbo Roma 15 mila; Moretto Fioravante 10 mila; Paoli Nicola 15 mila; Soldera Carlotta 15 mila; Famiglia Conte 5 mila; Campanella Emma 10 mila.
Per funerali Caduti sono state pagate alla ditta Pascotto L. 2800, Nardellotto Agostino lire 20.700. Per i funerali la Ditta Mobilificio Piovesan ha offerto tre casse in larice.
In occasione del Trigesimo sono state spese L. 1270 e cioè L. 230 per epigrafe, L. 500 per ufficiatura funebre, L. 540 per foto.
Per lapidi Caduti Mestriner, Fantin, Gobbo sono state pagate alla ditta F.lli Bisetto di Fiera L. 19.160.
La somma offerta alla famiglia del Caduto [Buttazzoni] Italo è stata devoluta dalla famiglia stessa per una tomba che verrà fatta a suo tempo. Per ora la somma è accantonata nella sede del Partito Comunista di Fiera. [Primo accenno all'ipotesi di un monumento in memoria dei caduti].
Somme distribuite a famiglie povere del paese: Foffano Sottana lire 3000, De Longhi Bianca 3000, Cervasel Arsilia 3000, Crosato Luigi 1500; Fermi Fortunato 500; Piccolo Luciana 1000; Bianchin Leonilde 2000, Gentilin Rosa 3000, Gargiulo Clara 2000, Albanese Carmela 2000, Grassato Imelda 1500, Fiabon Ginevra 1500, Saran Augusta 1000, Brusatin Pia 2000, famiglia Fantin 1000. A dei Patrioti calabresi che rientrano in famiglia L. 1000. Ad un internato dalla Germania che rientra a casa L. 500. Totale L. 248.430.
La somma rimasta e cioè L. 72.470 è stata consegnata interamente, insieme con le ricevute delle somme erogate, al Comitato d’Ass.[istenza] formatosi in questi giorni e formato interamente dal Comitato di Liberazione Nazionale Rionale di Fiera. Di detto Comitato fanno parte i sigg. Barbon Emilio, Barbaro Eugenio, Cian Pietro, Fregonese Bruna, Mazzariol Italo, Varaschin Antonio, Fermi Mirko.
Le somme sono state distribuite dopo il consenso di una commissione formata da 13 persone del luogo».  (Il Gazzettino, 25 luglio 1945)





Alerame Zanin (1911-1966), autista del camioncino dei partigiani fucilati a Villorba e unico sopravvissuto,
in una foto del 1960. (Collezione Mario Mazzon). Alerame — uno dei sette figli (quattro maschi e tre femmine)
del venditore ambulante Vincenzo (Cencio) e di Elvira Toniolo   apparteneva a una 

delle più note famiglie di comunisti e partigiani di Porto di Fiera.
Suo fratello Antonio (Toni del pesce, pescivendolo, venditore di folpi alle Fiere e di angurie d'estate
all'angolo fra la via che porta alla chiesa e la Callalta) nei giorni dell'insurrezione era vicecapo di SM
del btg. autonomo garibaldino Rino e Bruno Chiarello operativo nel capoluogo e nella periferia.

(Informazioni sulla famiglia Zanin: Adriano Caldato di Porto di Fiera.
Sul ruolo di Antonio Zanin nella Resistenza: Aistresco, b. 26, id 374,
 fasc. Diario storico generale delle formazioni partigiane del Trevigiano)

Alerame Zanin appoggiato all'ingresso della sua abitazione in via Callalta 39
(Porto di Fiera). Alerame, pur avendo una menomazione a una gamba a causa
della poliomielite, riuscì ad ottenere la patente e a lavorare con i camion di Mazzon e Fermi.
Il primo da sx è il padre di Alerame, Vincenzo (Cencio) Zanin. La bambina in primo piano
al centro della foto è Alba Cibin, sorella del sindacalista Elio. (Collezione Mario Mazzon)
 

Prato di Fiera, poco dopo la guerra. A destra Mirco Fermi, uno dei proprietari
del camioncino Fiat 18BL usato dai partigiani e promotore (con la sezione del PCI di Fiera)
della sottoscrizione pro famiglie dei caduti e per l'erezione del monumento.
L'altro proprietario del camion era Carlo Mazzon, non presente in foto.
(Collezione Mario Mazzon, Porto di Fiera)


Hanno collaborato a questa ricerca (e ringrazio)

Il cav. Onorio Ghirardo, Villorba.

Agostino Zago, nato a Villorba e residente a Ponzano Veneto.

Rino Botter (a sinistra), nato a Silea e residente a Fiera.
Adriano Caldato, nato e residente a Porto di Fiera