Consolato Laganà durante il servizio militare. (Archivio privato Anna Maria Moro). |
Il padre era una guardia di PS in servizio a Bologna. La madre aveva un piccolo negozio di generi alimentari al porto di Reggio, dove si recava ogni mattina di buon’ora, accompagnata dai figli piccoli, per preparare e vendere panierini da viaggio per chi prendeva il traghetto per andare a lavorare a Messina. Fra lo stipendio del marito e i proventi del negozio la famiglia Laganà aveva raggiunto un certo benessere.
Purtroppo Anna Geria morì giovane, d’infarto. Il padre si risposò.
Dal suo Foglio matricolare sappiamo che Consolato (Tito) Laganà era un aviere, come peraltro è ricordato dai racconti dei familiari (in particolare della nipote Anna Maria Moro, custode della sua memoria).
Una sua foto con delle cuffie in testa era inoltre presente nel primo mausoleo dei partigiani al cimitero maggiore di Treviso (San Lazzaro) [1].
L'omaggio marmoreo a Consolato Laganà nel vecchio mausoleo dei partigiani (1946-1993). (Archivio privato Anna Maria Moro) |
«Una volta mio zio è caduto con l’aereo in un vigneto a Sant'Andrà di Povegliano e si è salvato. Dopo la guerra io e mia mamma (Vincenza, sorella di Consolato) siamo andate in cerca del luogo dov'era caduto. Abbiamo trovato un anziano che si ricordava del fatto. Ci ha condotte in mezzo al vigneto dove l’aereo era precipitato, e ci ha detto che per fortuna non era morto nessuno e anche che non erano stati causati danni troppo gravi alla campagna.
Dopo l’incidente l’aereo era rimasto sul posto per un po’ di tempo e, quando fu portato via, ai contadini fu lasciato un pezzo di fusoliera come risarcimento.
Dopo l’incidente l’aereo era rimasto sul posto per un po’ di tempo e, quando fu portato via, ai contadini fu lasciato un pezzo di fusoliera come risarcimento.
Consolato Laganà partigiano di Reggio Calabria. Suo ricordo nel nuovo monumento ai partigiani di Treviso. (1994). |
In realtà, domenica 29 aprile 1945, Consolato (Tito) Laganà non si stava recando incontro agli inglesi per festeggiare la cacciata dei nazifascisti, ma era stato inviato dal comando della brigata garibaldina Bottacin di Treviso in ricognizione alla caserma Salsa di Santa Maria del Rovere, dove ancora erano asserragliati dei tedeschi con mezzi corazzati.
Luigi Pagotto — che comandava le formazioni partigiane garibaldine del settore a nordest della città (la “Terza zona” attiva fra Carbonera, Maserada, Breda di Piave e San Biagio)[3] — così descrive il fatto d’arme: « […] Un gruppo di volontari[4] di Biban comandati per accertare la consistenza delle forze tedesche alla Caserma Salsa venivano aggrediti e catturati e fucilati dai tedeschi, Romeo Visentin da Carbonera e Consolato Laganà “Tito” meridionale sbandato nel nostro Comune sin dall’8 settembre 1943, il quale si era unito ai nostri gruppi clandestini nella zona di Biban[5].
[…] Quando arrivai sul posto con i miei volontari era ormai troppo tardi. Oltre ai due caduti avevamo perduto il moto furgoncino ed un mitragliatore, gli altri componenti della squadra si erano ritirati illesi[6] ed rientrarono alla loro base con noi. Verso sera il posto di blocco di S. M. del Rovere ci comunicarono che i tedeschi della Caserma Salsa, vista l’impossibilità di resistere, se n’erano andati»[7].
L'ora della morte di Laganà è incerta. Un parente, nella lettera con cui informa la famiglia del caduto, afferma che Tito è morto alle undici e mezza del mattino. L'atto di morte ufficiale del comune di Treviso registra invece l'uccisione del partigiano come avvenuta genericamente "la sera del 29 aprile".
«Dopo la loro uccisione - racconta A. Maria Moro - sia Laganà che Visentin sono stati portati nella chiesetta della Madonnetta, in attesa di essere sepolti. Un giorno io e mia mamma siamo andati là, e abbiamo trovato una signora anziana che abitava lì vicino e aveva le chiavi della chiesetta e ci ha confermato questo particolare»[8].
L'ora della morte di Laganà è incerta. Un parente, nella lettera con cui informa la famiglia del caduto, afferma che Tito è morto alle undici e mezza del mattino. L'atto di morte ufficiale del comune di Treviso registra invece l'uccisione del partigiano come avvenuta genericamente "la sera del 29 aprile".
«Dopo la loro uccisione - racconta A. Maria Moro - sia Laganà che Visentin sono stati portati nella chiesetta della Madonnetta, in attesa di essere sepolti. Un giorno io e mia mamma siamo andati là, e abbiamo trovato una signora anziana che abitava lì vicino e aveva le chiavi della chiesetta e ci ha confermato questo particolare»[8].
Sull’uccisione dello zio Consolato, questa invece è la ricostruzione di Anna Maria Moro:
«Mi è stato raccontato da mia madre - e a sua volta a lei l’hanno raccontato persone che hanno assistito al fatto - che i partigiani si stavano recando a porta San Tomaso per festeggiare l’arrivo degli inglesi e la fine della guerra. Erano su una camionetta militare. A un certo punto, nei pressi della caserma Tommaso Salsa [i tedeschi] hanno sparato. Mio zio Consolato, che era seduto sulla camionetta, è sceso per vedere quale gomma avevano bucato. Quando ha fatto per scendere sono arrivati altri spari e lo hanno colpito direttamente al cuore ed è morto. I suoi compagni gli avevano detto “stai giù, stai giù”, ma lui … giovane… è sceso per guardare quale gomma era stata colpita. E là è morto»[9].
Dal racconto della nipote sappiamo che la famiglia Laganà fu avvertita della morte del congiunto sia dal CLN trevigiano sia da Santo Avignone[10], un parente che da qualche tempo abitava a Treviso. Venute a conoscenza della morte del fratello, le sue due sorelle Vincenza (la più grande) e Teresa, iniziarono subito a risalire l’Italia devastata dalla guerra per raggiungere Treviso.
«Però ci hanno messo un mese, più di un mese, ad arrivare a Treviso da Reggio Calabria. Perché le strade erano interrotte e ferrovia non ce n’era. Diceva mia mamma che sostavano in prefettura, in qualche caserma e quando c’era un mezzo che andava avanti di 50 - 60 km, salivano. Avevano un foglio di via e salivano. Gli è capitato di viaggiare perfino sopra a un camion carico di fichi. E loro sopra alle cassette con un freddo che non le dico. Finché qualcuno ha dato un cappotto a queste ragazze, perché si coprissero, perché non erano abituate a così tanto freddo.
Arrivate a Treviso sono andate alla caserma di Monigo e là sono state informate che Consolato era sepolto a Carbonera. Allora, a piedi, si sono dirette verso Carbonera. Lungo la strada hanno incontrato un uomo gentile, un contadino, che le ha fatte salire sul carro trainato da buoi con cui aveva portato la verdura al mercato e che le ha scaricate vicino a Villa Passi. Da lì sono andate dal parroco per saper dove fosse la tomba del fratello.
Mentre erano in canonica, dopo un po’ si presenta una ragazza e notano che porta al collo una medaglietta con la fotografia di mio zio: era Cesira Moro, fidanzata di Consolato e sorella di mio papà»[11].
Le sorelle erano venute al nord per il riconoscimento della salma, ma l’ufficiale sanitario di Carbonera, dottor Cavarzerani, disse che ormai la stagione era troppo calda e che per la riesumazione era meglio tornassero in un periodo più fresco, pertanto dovettero ritornare in Calabria.
Quando vennero a Treviso per la seconda volta andarono a salutare la famiglia della fidanzata di Consolato. È a questo punto capitò l’episodio che cambierà la vita di Vincenza, la maggiore delle sorelle.
In casa della fidanzata era nel frattempo tornato dalla guerra il fratello Ermenegildo (Gildo) che tutti davano per morto. Dopo l’8 Settembre infatti si trovava in Sardegna e fu visto salire su una nave che era stata silurata. Sennonché all’ultimo momento, prima di prender il largo, era stato fatto scendere da un suo superiore che aveva bisogno di un attendente e così si salvò. Inutilmente Ermenegildo inviò lettere e cartoline dicendo che stava bene: nell’Italia divisa in due non giunsero mai a destinazione.
Ermenegildo venne ufficialmente riconosciuto caduto in guerra, tanto che la famiglia percepì un sussidio. Ma morto non era e, finite le ostilità, si presentò in casa «e una mia zia è andata in affanno quando l’ha visto», racconta Anna Maria.
Fu in quei giorni che Gildo conobbe la giovane “terona”, e restò colpito dalla sua bellezza e dalla sua intraprendenza, ma non sapeva come fare per dichiararsi.
«Finché si fece coraggio e riferì a Vincenza che ci sarebbe stato un ragazzo di Biban a cui lei piaceva, chiedendole se a lei sarebbe piaciuto venire ad abitare dalle nostre parti, nel Veneto.
- Sì, mi piacerebbe, rispose Vincenza, ma vorrei anche sapere chi è questo ragazzo!
E mio papà le ha detto: - Sarei io!
Da allora si frequentarono nei pochi giorni di permanenza delle ragazze in paese per il riconoscimento del fratello e in seguito continuarono a scriversi. Ermenegildo Moro e Vincenza Laganà si sposarono il 2 luglio 1948 a Reggio Calabria, per poi stabilirsi a Biban di Carbonera[12]».
Chiudiamo col racconto di Anna Maria Moro sulle modalità del riconoscimento ufficiale del caduto partigiano Laganà.
«Dovevano fargli i “funerali di stato”, in ottobre[13], e in quell'occasione hanno riesumato la salma, tirata su. Quando hanno aperto la cassa hanno scoperto che mio zio aveva i capelli “a boccoli”, lunghi fino alle spalle.
«Dovevano fargli i “funerali di stato”, in ottobre[13], e in quell'occasione hanno riesumato la salma, tirata su. Quando hanno aperto la cassa hanno scoperto che mio zio aveva i capelli “a boccoli”, lunghi fino alle spalle.
Mia mamma allora ha chiesto come mai? Forse che da militare portava i capelli lunghi? No! I capelli gli erano cresciuti dopo la morte.
Allora ne ha tagliato una ciocca, che poi ha conservato per sempre con sé»[14].
«Tito mi avvertiva, mi diceva: “non muoverti questa sera” e se andavo dalla morosa che abitava a Pero: “sta attento stasera, vieni a casa presto” […]. Però lui non mi aveva mai detto, e neppure accennato, di essere partigiano. Ma io l’avevo capito.
Note
Laganà Consolato, classe di leva 1921, matricola 15572 (Distretto di Reggio Calabria)
Residenza alla visita di leva: Reggio Calabria, Rione Tre Mulini, n. 18
Visita di leva 5 aprile 1940
Figlio di Francesco e di fu Geria Anna
Religione cattolica - razza ariana
Nato il 24.3.1921 a Reggio Calabria
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29 maggio 1941
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Giunto alle armi ed assegnato in qualità di aviere della R. Aeronautica al centro di affluenza di Grottaglie [TA] (Centro L.R. nella 4a Zona Aerea Territoriale)
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Statura: m. 1,69 - Torace m. 0,90
Capelli: castani - forma ondulata
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29 maggio 1941
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Mobilitato in territorio dichiarato in istato di guerra e zona di operazione
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Viso: ovale
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30 maggio 1941
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Al centro di istruzione di Torino
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Naso: regolare
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10 giugno 1941
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Occhi: castani
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20 settembre 1941
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Aeroporto di Capodichino [Napoli]
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Sopracciglia: castane
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30 novembre 1941
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Al 303° Deposito Regia Aeronautica di Roma
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Fronte: regolare
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10 dicembre 1941
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Inviato in missione in Germania
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Colorito: roseo
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21 febbraio 1942
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Rientrato dalla missione in Germania
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Bocca: regolare
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1 maggio 1942
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Alla caserma 4 Novembre, Lido di Roma
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Dentatura: sana
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10 giugno 1942
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All'aeroporto San Nicolò, Lido di Venezia
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Segni particolari = =
Arte o professione: barbiere
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30 novembre 1942
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Trattenuto alle armi per esigenze di carattere eccezionale in base al R.D. 17.8.1939 […]
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Titolo di studio: 3a Industriale Inferiore
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15 febbraio 1943
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Nominato aiuto elettricista e promosso aviere scelto con la votazione 18/20 e con anzianità dal 16.8.1942
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15 febbraio 1943
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Depennato dai ruoli matricolari dell’Esercito ed iscritto in quelli dell’Aeronautica assumendo il n. 82625 di matricola per effetto della legge 19.1.1939 n. 340
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8 settembre 1943
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Sbandatosi in seguito agli avvenimenti verificatisi successivamente all’8.9.1943
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8 settembre 1943
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Cessa di essere mobilitato e di trovarsi in territorio dichiarato in istato di guerra e zona di operazioni
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1 ottobre 1944
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Arruolatosi nella formazione partigiana “U. Bottacin”, Treviso
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29 aprile 1945
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Deceduto a Treviso in combattimento contro i tedeschi
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Notizie tratte dal foglio matricolare - Archivio di Stato Regio Calabria, classe 1921, matricola 15572, vol. 695
parificato [aggiornato] il 20.5.1950
parificato [aggiornato] il 20.5.1950
Partigiano Laganà: il ricordo di Carlo Minello, suo coetaneo e vicino di casa
Carlo Minello, Sant'Artemio TV (1921-2018), vicino di casa e amico del partigiano Consolato Laganà. (Foto 17.5.2017) |
Carlo Minello, operaio, 1921, dopo l’8 settembre 1943 riuscì avventurosamente a tornare a casa dalla Jugoslavia[15] e ricorda che Consolato Laganà venne ad abitare a Sant'Artemio nello stesso edificio in cui anch'egli abitava, però ospite della famiglia a fianco della sua[16].
L’abitazione delle due famiglie Minello - fittavoli del duca Catemario - era una casa colonica che adesso è stata ristrutturata da Zanetti “quello del caffè Segafredo”. La casa era posta lungo la statale Pontebbana, fra villa Felissent e l’ippodromo, di fronte a villa Margherita (dove si era installato il comando tedesco).
L’abitazione delle due famiglie Minello - fittavoli del duca Catemario - era una casa colonica che adesso è stata ristrutturata da Zanetti “quello del caffè Segafredo”. La casa era posta lungo la statale Pontebbana, fra villa Felissent e l’ippodromo, di fronte a villa Margherita (dove si era installato il comando tedesco).
Tito Laganà trovò lavoro proprio dentro al comando tedesco come addetto alle comunicazioni radio[17].
Lavorava per i tedeschi[18] ma faceva il "doppio gioco" con i partigiani, informandoli quando erano previsti dei rastrellamenti o delle perquisizioni.
Consolato Laganà dal 24 aprile al 28 ottobre 1944 aveva lavorato per i tedeschi come radiomontatore nel "LN-Frontreparaturbetrieb (GL) 5-VII". (Archivio privato Anna Maria Moro). |
Perché di notte portavano armi. Andavano a nasconderle nel campo là vicino a casa nostra sotto il fieno dell’ippodromo che avevamo falciato e accatastato in grandi “mari de fen” [19].
Là sotto i partigiani nascondevano le armi, avevano fatto dei buchi.
- Dove le trovavano queste armi?
Le passavano attraverso Villa Felissent e poi dall’ippodromo le sparpagliavano verso il Montello»[20].
Negli ultimi giorni della guerra, quando iniziò il gran movimento di soldati tedeschi in ritirata, i Minello abbandonarono la loro casa, che era sulla strada principale, e si rifugiarono in una casa di campagna dalle parti dell'ospedale psichiatrico.
«Un giorno abbiamo sentito dire “i ga copà uno”. E chi era? Laganà!
- Come hanno detto che è stato ammazzato?
Un cecchino, dalla caserma, ha sparato. Che anzi mi sembra che Tito avesse avuto la giberna, davanti, ed è stata bucata da questo tiro»[21].
[1] Il primo mausoleo dei partigiani fu costruito “in economia”, al cimitero di San Lazzaro, su progetto dell’architetto Pietro Dal Fabbro nel 1946. Verrà dismesso nel 1994, sostituito dal nuovo monumento opera dell’architetto (e internato in Germania) Giuseppe Davanzo.
[2] File audio 17050901, sintesi da 24:00 a 26:30.
[3] Per la delimitazione della “Terza Zona partigiana” vedi domanda iscrizione all’Anpi di Antonio Campion, Breda di Piave. Aistresco, b. 47, fondo Anpi.
[4] Intesi come appartenenti al Corpo Volontari della Libertà.
[5] Come risulta dal foglio di riconoscimento della qualifica di partigiano, l’inizio dell’attività cospirativa di Consolato Laganà è ufficialmente fatto risalire al 1 ottobre 1944. Consolato, dopo l’8 settembre e per un periodo che non è possibile quantificare, risulta che lavorasse presso il comando dei tedeschi posto nella villa Margherita a Sant’Artemio (a lato della SS 13 Pontebbana che da Treviso conduce al nord), presumibilmente come addetto alle comunicazioni radio. Proprio grazie a questa sua posizione all'interno del comando nemico, ricorda la nipote, riusciva sia a segnalare ai partigiani le località di probabili rastrellamenti sia a procurare armi leggere che poi venivano nascoste in campagna.
Per ulteriori informazioni al riguardo si veda (qui sopra) la testimonianza di Carlo Minello, S. Artemio (TV) 1921.
Per ulteriori informazioni al riguardo si veda (qui sopra) la testimonianza di Carlo Minello, S. Artemio (TV) 1921.
[6] In realtà un altro partigiano, Armando Buttazzoni “Ilka” abitante a Treviso in via Andriana 76, dichiarò nella sua domanda di iscrizione all’Anpi che nell'aprile del 1945 fu «ferito in azione contro i Tedeschi alla caserma “Salsa”». Dichiarazione sottoscritta da Romeo Marangon, Severino Voltarel “Lidia”, Armando Perini e Bertillo Mattiuzzo. Aistresco, b. 47, fondo Anpi.
[7] Pagotto, I miei ricordi…, p. 138.
[8] File audio 19011202, 00:07.
[8] File audio 19011202, 00:07.
[9] File audio 17050901, 04:15.
[10] Una figlia di Avignone, Delia, diverrà moglie del giornalista e scrittore Mirko Trevisanello (della famiglia di pescivendoli trevigiani conosciuti come Pàciara), e madre di Marco cantante e regista lirico.
[11] File audio 17050901, da 06:32.
[12] Ermenegildo e Vincenza vivranno per lunghi anni assieme. A morire per prima sarà Vincenza nel 2006; l’anno dopo toccò a Gildo.
[13] Il solenne rito funebre collettivo fu celebrato nel duomo di Treviso domenica 17 novembre 1946. Per l’occasione furono riesumate le salme dei 40 caduti partigiani di cui si conosceva l’esistenza e furono tumulate nel mausoleo ad esse dedicato nel cimitero di San Lazzaro.
[14] File audio 17050901, 09:56.
[15] Il fratello minore di Carlo, Giuseppe Minello, 1923, fu invece catturato dopo l'8 settembre dai tedeschi e non ha più fatto ritorno a casa. I familiari non sanno né dove sia morto né dove sia stato sepolto. Il suo nome è ricordato nel monumento ai partigiani del cimitero di San Lazzaro, fra gli "internati nei lager".
[16] Il vicino di casa di Carlo si chiamava Vittorio Minello: il cognome era lo stesso ma fra le due famiglie c’era solo una lontana parentela.
[17] Carlo Minello, per la verità, usa queste testuali parole: «Lavorava alla Telefunken che era in villa Margherita». File audio 17051704, 01:45. Nel foglio matricolare Laganà risulta essere "aiuto elettricista", inoltre aveva frequentato la 3. industriale inferiore.
[18] Quasi sicuramente in virtù del suo periodo di oltre due mesi trascorso in missione in Germania (fra il dicembre 1941 e il febbraio 1942) come risulta dal suo foglio matricolare.
[18] Quasi sicuramente in virtù del suo periodo di oltre due mesi trascorso in missione in Germania (fra il dicembre 1941 e il febbraio 1942) come risulta dal suo foglio matricolare.
[19] Comunemente chiamati “mèe” [fienili a forma conica].
[20] File audio 17051704, sintesi da 00:45 a 05:30.
[21] File audio 17051704, sintesi da 24:20 a 26:15.