giovedì 19 aprile 2018

NOTE - La resistenza dei ferrovieri comunisti di Treviso


Note [parte 1]

[1] «Dopo lo sciopero ferroviario del 1922 [cfr. Sciopero Legalitario agosto 1922], nonostante i dirigenti dello SFI Castrucci, Mosca e Giusti si fossero assunti la responsabilità dell’agitazione, partirono 125 provvedimenti di licenziamento per altrettanti organizzatori dello sciopero, cui fece seguito una repressione di massa: 155 mila provvedimenti di punizione e retrocessione, purghe, bastonature, minacce. Nel 1923 lo SFI [Sindacato Ferrovieri Italiani] rifiutò di sciogliersi nei sindacati fascisti, allora scattò la seconda fase repressiva: 43 mila ferrovieri che avevano partecipato agli scioperi vennero licenziati secondo la formula infamante di “scarso rendimento”, come prevedeva il famigerato decreto del Commissario Edoardo Torre».  (Dal sito Socialismo Libertario, visitato il 14.4.2018).
Come ricorda Bruna Fregonese, a Treviso i ferrovieri licenziati in quell'occasione furono un'ottantina, fra i quali suo padre Pietro, all'epoca socialista. (Le carte di Bruna, p. 172).


Ferrovieri licenziati dal fascismo nel 1923 -  
Camera Deputati, Atti parlamentari, 20 luglio 1923. Interrogazione delle opposizioni sui licenziamenti ("esoneri") dei ferrovieri causati dal "decreto Torre", Circolare 21 maggio 1923 del Commissario straordinario per le Ferrovie dello Stato, Edoardo Torre, attuativa del Regio Decreto 28 gennaio 1923, n. 143 "recante provvedimenti per la dispensa dal servizio del personale delle ferrovie dello Stato" e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 29 del 5 febbraio1923.
Risponde il sottosegretario Alessandro Sardi.
Replica conclusiva (di cui si riporta il brano finale) di Nicola Bombacci, all'epoca capogruppo dei comunisti.


Parte iniziale dell'elenco di cento soci del Circolo Ferrovieri di Treviso
stilato dai fascisti prima della vendita sottocosto del Circolo nel (settembre?) del 1923
- pur di non farlo cadere in mano fascista - da parte dei ferrovieri stessi, che l'avevano costruito e addobbato.

«1 - Artol Giuseppe, Frenatore, Comunista - Sobillatore; 2 - Ardito Ernesto, Macchinista, Socialista - accanito
scioperante [non più in servizio - licenziato]; 3 - Badù Giovanni, Conduttore Principale, comunista
sobillatore incitatore di scioperi [licenziato]; 4 - Bettio Antonio, Conduttore, Comunista Antinazionale;
5 - Baggio Fortunato, Frenatore, Anarchico, ha preso parte alla difesa della Riscossa
[giornale repubblicano di Treviso attaccato dai fascisti in armi nel luglio 1921]; 6 -  Bartolozzi Ezio,
Macchinista, E' presidente della Sezione Sportiva del Circolo Ferrovieri Rosso».
(Aistresco, ID 629, n. inv. 057- fondo Ivo Dalla Costa b 2; fasc. Circolo Ferrovieri [1923].
Materiale fotocopiato proveniente dal fondo Prefettura dell'Archivio d Stato di Treviso).

[2] Trascrizione dei manifesti dei sindaci di Treviso e Udine affissi dopo l’8 settembre 1943 e la rotta di Caporetto 1917.
Il manifesto del podestà di Treviso, 10 settembre 1945 - Contro certe voci tendenziose e allarmanti / Un manifesto del Podestà / Ieri sera è stato affisso il seguente manifesto: «Trevigiani! Certe voci allarmanti corse in città sono tendenziose e comunque ingiustificate. Gli eventi esigono da tutti calma, disciplina e senso della responsabilità. Siate certi che le Autorità faranno tutto il loro dovere per assicurare la tranquillità, l’ordine, gli approvvigionamenti e il funzionamento dei pubblici servizi. Nell'interesse dell’intera popolazione deve essere evitato ogni incidente. Rammento che le disposizioni in atto, emanate dall’Autorità Militare per la tutela dell’ordine pubblico, rimangono immutate. - Il Podestà: Guglielmo Ferrero». (Il Gazzettino, cronaca di Treviso, sabato 11 settembre 1943).
Il manifesto del sindaco di Udine, 26 ottobre 1917: «Municipio di Udine / Il Sindaco / a togliere ogni allarme, accerta la popolazione, per informazioni ricevute, che Udine non corre pericolo e mentre esorta i cittadini alla calma assicura che, tenendosi in stretti continui rapporti con la competente Autorità, darà, occorrendo, notizia circa eventuali mutamenti di situazione. La cittadinanza può contare sull’assistenza completa di tutte le Autorità. / Udine,  li 26 Ottobre 1917 / Il sindaco / D. Pecile». (Da Caporetto, Storia, testimonianze, itinerari di Camillo Pavan, 1997).
[3] Con tutta evidenza Piero Dal Pozzo, che a Treviso era l’anima, della Federazione provinciale del Partito Comunista Italiano in clandestinità. Fra il novembre del 1943 e l'ottobre del 1946, Dal Pozzo fu anche segretario della Federazione trevigiana del PCI. (Aistresco, ID 1220, N. inv. 097, fondo PCI, fasc. Opuscoli vari, quaderno "Partito Comunista Italiano, federazione di Treviso").
[4] “Sapisti”: membri delle Squadre di Azione Patriottica. «A differenza dei Gap [Gruppi di Azione Patriottica], concepiti come braccio armato del partito e formati esclusivamente da comunisti, le Sap (Squadre di Azione Patriottica) nascono e si svilupperanno come milizia nazionale le cui file sono aperte a tutti coloro che, indipendentemente dalla loro fede politica, vogliono battersi armi alla mano non per l'avvento del comunismo, ma per la sconfitta del nazifascismo e per la creazione di una libera democrazia. Il Sappista è un elemento legale, lavora nel suo mestiere nella sua professione, agisce quando è chiamato. Egli si vede con i suoi compagni di nucleo discute con loro i problemi politici, studia l’azione da svolgere, cura i particolari della parte a lui assegnata, si esercita in attività preparatorie, si attrezza per la lotta finale.
A differenza del gappista, che ha abbandonato lavoro e famiglia, vive nella clandestinità più assoluta ed è impegnato in azioni di tipo terroristico, il sappista continua (salvo essere scoperto) la sua vita familiare e lavorativa e viene gradualmente addestrato alla lotta con una serie di azioni che vanno da quelle di minor rischio, come il lancio di manifestini, a quelle più complesse, come i disarmi o gli attacchi a piccoli posti di blocco». (Dal sito dell’ANPI di Lissone, visitato il 15.4.2018).


[parte 3]
TELVE: Società Telefonica delle Venezie


Carta intestata della TELVE, Società Telefonica delle Venezie.
(Archivio storico comune Villorba, busta ''Delibere originali''  - 1943)

[parte 4]

[1] Ugo Marchesi (Magione PG, 1920 - Treviso, 2014) era figlio del ferroviere Osvaldo che abbiamo visto tra i quadri della sezione dei ferrovieri comunisti della stazione di Treviso. Conseguito il diploma di maturità classica, nel 1940 vinse un concorso come segretario amministrativo delle FF.SS.
Dopo la liberazione fu segretario del Sindacato Ferrovieri Italiani di Treviso e membro del direttivo del direttivo della CGIL. Uomo di punta del PCI trevigiano fu consigliere comunale e provinciale. Dal 1958 al 1968 fu deputato. Una sua interessante nota autobiografica sul periodo a cavallo della Liberazione si trova in "Prima che scenda il silenzio... ", pp. 136-143.
Verso la metà di luglio del 1945 venne arrestato dalla polizia alleata per "possesso illegale di armi e munizioni" assieme a Elvio Braggion, Bruno Galiazzo e Giovanni Granziero. I quattro - difesi dagli avvocati Nordio e Dalla Rosa - furono processati dal "Tribunale locale alleato". Di essi, i primi tre furono assolti perché appartenenti alla Polizia Ferroviaria, mentre Marchesi fu condannato a quindici mesi di carcere, di cui dodici sospesi per la sua buona condotta. (Corriere Veneto, 17 luglio 1945).
[2] Il congresso di Bologna del Sindacato Ferrovieri Italiani, luglio 1945, sancì «il definitivo controllo della categoria da parte dei comunisti» e l’adesione dello SFI alla CGIL. (Recensione Sissco a “La libertà sulle rotaie. Tramvieri e ferrovieri a Milano dal fascismo alla Resistenza”, di Cristina Palmieri, Unicopli, 2011 - Sito consultato il 5 maggio 2018 ).
[3] «"La Provvida" era l'antica cooperativa dei Ferrovieri, vendeva generi di ogni tipo, cibo, bevande, articoli per la pulizia, ecc. / "La Provvida sulle Rotaie" era presente, nel dopo guerra, con alcuni spacci posti in grandi scali. Questi carri venivano usati anche per rifornire le piccole stazioni».
Pagina Facebook della Fondazione FS Italiane, Museo di Pietrarsa. (Visitata il 7 maggio 2018).
[4] L'epurazione fu un'altra delle grandi speranze disattese della Resistenza. Vista la sostanziale impossibilità di colpire nel settore privato, dove  "i soliti camaleonti ... dopo aver fatto affari coi tedeschi ora li fanno con inglesi" l'epurazione si rivolge soprattutto nel settore pubblico.
Ma sarà «un’epurazione “più che altro invocata, pretesa, reclamata a parole. Escluse quelle anonime, quasi tutte cestinate, le denunce pervenute alla Commissione di Epurazione risultavano essere 4 o 5. [...] Il desiderio di una veloce ed equa epurazione, sulla quale moralmente ricucire le trame di una nuova convivenza sociale che si era smarrita durante la bufera della guerra civile, tramontò presto. Riemergevano sottili complicità, vincoli di solidarietà tra fascisti e antifascisti: tutti avevano "un fascista nel cuore" dichiarò, con disarmante franchezza, il rappresentante del Partito Socialista durante una riunione del CLNP clandestino nella primavera del 1945». (Marco Borghi, Dopo la guerra … , p. 41).
Questo spiega la durezza dei termini usati durante il Congresso di Bologna 1945 del Sindacato Ferrovieri Italiani (SFI): «tutti coloro che non erano iscritti al PNF e che in questo difficile e delicato momento non prestano la loro opera per l’epurazione si devono considerare peggiori dei fascisti stessi».


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