lunedì 16 gennaio 2017

La famiglia Benvenuto: operai, comunisti e partigiani di Santa Bona (Treviso). Il ricordo di Lucia, la figlia più giovane

Fratelli Benvenuto -
I partigiani Ugo e Wladimiro Benvenuto erano i primi due dei cinque figli di Guido (1897-1970) e Amelia Pessotto (1895-1980).
Guido, nato a Mira e secondogenito di otto fratelli, si trasferì fin da piccolo con la famiglia a San Lazzaro di Treviso in via Ghirada, dove già a nove anni iniziò a lavorare. Partecipò alla prima guerra mondiale e riuscì a salvarsi sul fronte dell’Isonzo per la sua abilità nel nuoto che, in un momento di pericolo, gli permise di sfuggire alle pallottole immergendosi nel fiume.
Dopo il matrimonio si trasferì nelle case popolari costruite - negli anni '20 e '30 - nella periferia di Treviso all'epoca immersa nella campagna.
Dapprima trovò alloggio a Sant’Angelo, nel IV gruppo delle “case Luzzatti” (via Ottavi), per trasferirsi poi (1932) nelle “popolarissime” di via Bindoni a Santa Bona, nella stessa casa in cui abbiamo incontrato Lucia [1].
Guido fu un comunista della prima ora, come si può dedurre dal nome che diede al secondogenito Wladimiro nel 1925: un nome che suonava di sfida all'ormai imperante regime. «Avevamo i fascisti sempre in casa. Perquisivano, chissà cosa credevano di trovare, e quando arrivava Mussolini mettevano mio papà in prigione» [2].
Faceva il fornaio e lavorava dai Rachello, proprietari di un mulino sul Sile a Quinto e di un forno con «un gran negozio sotto i portici di quel bel palazzo che c’è in piazza San Vito». Era un lavoro duro «perché tutte le sere quando erano le otto, partiva da qua e andava a fare “i levài”, il lievito per il pane. Tornava a casa e alle tre di notte doveva essere di nuovo al lavoro».
Il primogenito Ugo (1923) fino alla chiamata alle armi lavorava nella fabbrica di spazzole Krull. L’8 settembre , di stanza come caporale degli autieri a Cervignano, riuscì a sfuggire alla cattura dei tedeschi, tornare a casa e rimanere nascosto.
Wladimiro riparava radio a Treviso «in una botteghetta all’angolo di via Indipendenza, vicino alla Loggia dei Cavalieri».
Con la costituzione della Repubblica Sociale Italiana [a republicheta, come la chiama Lucia] né Ugo né Wladimiro risposero ai bandi di arruolamento e - insieme al padre - presero contatto con la struttura clandestina del PCI.


Diploma di medaglia garibaldina rilasciato al partigiano Guido Benvenuto.
(Archivio privato Lucia Benvenuto) 

«Anch’io, che ero ancora piccola, andavo con mio papà in bicicletta a portare i volantini di propaganda per le stradine di Canizzano e Zero Branco. Ricordo che avevo fatto un taglio sulla fodera della giacca e dentro mettevo i manifesti. Andavamo con biciclette tutte “taconàe” [rappezzate], perché in quel tempo non c’era niente, mancavano le materie prime».
Da maggio a settembre 1944 troviamo Ugo in montagna, sul Mariech sopra Valdobbiadene, con la brigata Mazzini [3].
Dalla domanda di iscrizione all’Anpi, stilata il 5 novembre 1945, veniamo a sapere che Ugo, dopo essere rimasto nascosto nell’inverno 1944/45, nel febbraio 1945 fu catturato dalle brigate nere e a marzo costretto a entrare nei ranghi della RSI, probabilmente nel 29° CMP, caserma di Istrana, da cui fuggì nell’aprile del ’45.
Negli ultimi giorni della guerra, la famiglia si trasferì da conoscenti in una casa nella campagna di Padernello. «Ci sembrava di essere più sicuri, lontani dalle strade principali. E poi noi ragazze (io e mia sorella più grande Clara, 1926) avevamo paura degli americani che venivano avanti. I miei fratelli dicevano che c’era il rischio che violentassero le ragazze».
Per Ugo l’appuntamento con la morte avvenne durante i combattimenti contro i tedeschi in ritirata attorno alla fonderia di Santa Maria del Rovere il 27 aprile 1945. Fu colpito dal piombo nemico perché non fu pronto nell’attraversare il canale Piavesella: a differenza del padre, non sapeva nuotare [4]. Fu portato ancora in vita all’ospedale di Casier dove morirà poco dopo.
Wladimiro fu fucilato con altri sette partigiani davanti al muro del cimitero di Villorba il 29 aprile 1945, poco prima della partenza della colonna di SS che li aveva catturati il 27 aprile all'ingresso del paese [5].
«Il giorno dei funerali, che li hanno fatti il primo maggio, mia mamma sapeva di Ugo, perché Ugo era stato ferito ed era andata a trovarlo all’ospedale. Sapeva di Ugo, pensava di andare al suo funerale, e non sapeva niente di Wladimiro. Solo al momento di partire da casa mio papà le ha detto: “Mèlia, fate corajo, che i portemo via tuti do”.



La Omaggio di Rinascita, organo del CLN di Treviso (2.6.1945)
alla famiglia Benvenuto di Santa Bona, antifascista della prima ora,
che nella lotta partigiana ha perso i due figli Ugo e Wladimiro.
Guido Benvenuto - su proposta del CLN - sarà giudice popolare
in 19 dei 91 processi della Corte di Assise Straordinaria
di Treviso che fra il 1945 e il 1946 misero alla sbarra alcuni dei più
spietati esponenti del fascismo repubblicano della Marca.
In particolare Benvenuto farà parte della giuria di processi importanti
come quelli che comminarono le condanne a morte a Michele Pistone,
Firmino Morello "Tarzan", Giorgio Brevinelli "Lince", Egidio Simonetti "Nina",
Dino Cappelli "occhio di vetro" e Attilio Pillon.
Condanne che per Tarzan, Lince e Nina saranno eseguite.

… E dopo sono stati anni tremendi».
Anni tremendi, ma non disperati.
Amelia seppe "farsi coraggio", si rimboccò le maniche per mandare avanti la famiglia e seguire gli altri tre figli («a gavèa altri tre fioi da starghe drio»).
Il partito comunista fece di lei e della madre di Wladimiro Paoli - mamme di tre martiri della Resistenza - due modelli di donne da imitare.
"El sior Guido", così, affettuosamente e con rispetto conosciuto da tutti, continuò nel suo lavoro di panettiere. Per un anno (26.6.1945 - 3.7.1946) fu giudice popolare della Corte d'Assise Straordinaria istituita a Treviso per processare i fascisti rei di aver collaborato con gli occupanti nazisti [6].
Con le prime elezioni libere del dopoguerra, che a Treviso si svolsero il 31 marzo 1946, Guido Benvenuto venne eletto consigliere comunale per il PCI (quinquennio 1946-1951).
Fino alla fine rimase fedele al partito, che non mancò di ricompensarlo con un viaggio a Mosca e uno anche a Roma, assieme alla moglie.


Guido Benvenuto nel 1946, candidato ed eletto
per il PCI nelle prime elezioni democratiche dopo
la Liberazione; Treviso, 31 marzo 1946.
(Il Lavoratore, Settimanale della federazione trevigiana del PCI)

Bruno Marton, sindaco di Treviso (1965-1975, DC), consegna una
medaglia d'oro all'ex consigliere comunale del PCI Guido Benvenuto.
(Archivio privato Lucia Benvenuto)

La famiglia Benvenuto -
Amelia Pessotto e Guido Benvenuto a Roma. Al centro, Luciano Cappellotto (1927-1982),
partigiano, funzionario del PCI e a lungo sindacalista: dapprima con i tessili CGIL, poi con
la Federmezzadri di Treviso e dal 1977 presidente della neonata Confederazione Italiana
Agricoltori - CIA. (Informazioni del figlio Otello, a mezzo Diego Agnoletto). 
(Foto: Archivio privato Lucia Benvenuto)

Morirà poco più che settantenne, di infarto.
Meritano essere ricordate le considerazioni della figlia sulla sua morte.
«Era qua in casa e diceva “questo braccio, questo braccio che mi dà fastidio”. Telefoniamo al dottore e ci dice di andare in pronto soccorso. Siamo andati io e mio marito a portarlo. Siamo andati all’ospedale, c’era ancora il pronto soccorso vecchio [a Ca’ Foncello].
Vai al pronto soccorso - adesso è tutta un’altra cosa, perché c’è il codice rosso -  ... e avanti e indietro, e ci mandano in geriatria. Andiamo in geriatria. Con la nostra 500, non loro con la Croce Rossa; siamo andati noi a portarlo. Gli infermieri che lo ricevono, dicono che bisogna misurargli la febbre. Ma si può morire anche senza febbre, o no? E dopo, quando è venuto fuori il dottore ha detto: “Ha tutti i sintomi dell’infarto, si salva se passa i primi momenti”.
Insomma, tutto quel tempo che è stato fermo, … se lo avessero visitato subito!».
- Il funerale com’è stato?
Al duomo hanno fatto i funerali.
- Non era ateo?
No, no. A lui piaceva papa Giovanni XXIII. In chiesa non andava, comunque quello che c’era da fare, cerimonie, ecc., le faceva.
- Non ha impedito a nessuno, per dire, di battezzarsi.
No. L’ideale suo era di vedere la libertà. Era proprio un idealista. Aveva fede nella sua idea, l’idea del popolo che stesse bene. Sono stata capace di spiegarmi?
A volte penso …  è morto a 72 anni. Ma sto poro vecio de setantadó ani, a quarant’anni passati gli è toccato andare in montagna, i fascisti sempre qua. Dentro di me dico: «Che possa aver avuto rimorso per la morte dei due figli? Ma lui non gli ha mai imposto niente, perché noi abbiamo fatto comunione, cresima … come facevano tutti. Non è da dire che lui avesse vietato qualsiasi cosa.
Lui non li ha spinti in nessuna maniera, eh! Hanno deciso loro. Perché anche il più giovane, Miro, quella volta - come le ho detto - non ha accettato di andare nella repubblichetta di Salò, e allora sono scappati via tutti. E l’altro [Ugo] era militare, e anche lui è scappato.
- Un bel peso per suo papà, immagino.
Capisce il mio discorso? Dentro di lui, chi lo sa cosa pensava. Che potesse avere anche rimorso, nel senso “li ho spinti io”?  Ma lui non ha spinto mai niente, sono stati loro…».


Amelia Pessotto, mamma di Ugo e Vladimiro Benvenuto, all'inaugurazione della mostra sulla Resistenza a Treviso,
Ca' Da Noal, 25 aprile 1969. Da dx. Ivo Dalla Costa (Segretario della Federazione provinciale  del PCI)
e il sindaco di Treviso Bruno Marton (DC) - Alle spalle del sindaco s'intravedono, da sinistra  (e di profilo)
l'avv. Renato Capraro (presidente dell'ANPI provinciale) e l'on. Elio Fregonese del PCI.
Foto e informazioni di Diego Agnoletto.

Amelia Pessotto, mamma di Ugo e Vladimiro Benvenuto, all'inaugurazione della mostra sulla Resistenza a Treviso,
Ca' Da Noal, 25 aprile 1969. Ivo Dalla Costa (di spalle) fa gli onori di casa al sindaco Bruno Marton.
Al centro l'avvocato e consigliere comunale del PCI Cirillo Boccaliero, a sinistra, il ten. col.
Pietro Curci, vicesindaco DC di Treviso. Da notare come Amelia Benvenuto indossi una collana
con due ciondoli contenenti le foto dei due figli partigiani. Foto e informazioni di Diego Agnoletto.

Ai fratelli Ugo e Vladimiro Benvenuto sarà intitolata la sede della sezione di Santa Bona del Partito Comunista Italiano, fino allo scioglimento del partito.

Lucia è una donna minuta e gentile che ha vissuto sempre nella stessa casa popolare di via Bindoni, anche da sposata [7].


Le case popolari di via Bindoni, prima laterale destra di via Santa Bona Nuova, TV,
costruite nel 1929, conservano la struttura urbanistica originaria. [8]
(Mappa Istella 2017 - Blom CGR - 2012 Terra Italy) 

Lavorò dapprima -
per dodici anni - alla IANA di Luigi Palla come ricamatrice: «facevamo tutta roba per bambini, coprifasce, vestitini da battesimo, quelle robe là». Passò poi alle dipendenze di Mario Toniolo, in via Montello e in uno stabilimento grande a Fontane che dopo qualche anno fu ceduto a Benetton. «E gli ultimi tre anni li ho fatti con Benetton».
È lei a conservare con amore i ricordi familiari. In una cartella le foto e i diplomi. In una piccola scatola le medaglie assegnate al padre e ai fratelli.
Ne distende il contenuto sul tavolo.
Ecco quanto rimane di due giovani vite spezzate e della storia umana e politica di questa famiglia di combattenti per la libertà e la giustizia che a Treviso - per mezzo secolo - fu portata ad esempio di impegno sociale: una manciata di medaglie e croci al valore o commemorative.
Della Resistenza, passato il fatidico 25 aprile, oggi si parla poco.
Dei partigiani, specie di quelli uccisi negli ultimi giorni della guerra di liberazione, spesso si sente dire che potevano starsene a casa, e non andare a stuzzicare i tedeschi che si ritiravano[9].
Il Partito è morto.
Lucia approfitta del nostro incontro per chiedere se non sia meglio lucidarle e ravvivarle un po', le medaglie.
- No, perderebbero la patina del tempo.
Per metterle in ordine inizia allora ad incollarle con una striscia di scotch ai relativi fogli originali di conferimento.
Poco vale ricordarle che lo scotch, nel corso di pochi anni rovinerà la carta.
«Ascolti, ho ottantacinque anni…»
- Ma noi dobbiamo pensare ai nipoti.
«Non ne vogliono sapere per niente. Adesso, se gli parli di queste robe qua, è come se tu parlassi della luna!».


Famiglia Benvenuto, Santa Bona di Treviso -
Amelia Pessotto Benvenuto tra il sindaco Giuseppe Schileo e il genero Marcello Pellizzari
nell'atrio del municipio di Villorba, in attesa della scopertura della lapide ai 15 partigiani caduti
nel territorio di Villorba. 25 aprile 1975, trentennale della Resistenza.
(Archivio privato Lucia Benvenuto)

Amelia Pessotto Benvenuto depone un mazzo di fiori ai piedi della lapide con i nomi
dei 15 partigiani caduti in territorio di Villorba, fra i quali il figlio Wladimiro Benvenuto.
Alle sue spalle il sindaco Giuseppe Schileo. 25 Aprile 1975, trentennale della Resistenza.
(Archivio privato Lucia Benvenuto)


Note

[1] Tutte le notizie relative alla famiglia Benvenuto, sono tratte dalla testimonianza dell'ultimogenita Lucia, 1931, raccolta nella sua abitazione di Santa Bona il 2.12.2016 (file 16120203 e 16120204) e il 12.12.2016 (file 16121201).
[2] Guido Benvenuto è stato in effetti sorvegliato dal regime e iscritto, come comunista, al Casellario Politico Centrale dal 1930 al 1942.
[3] Testimonianza di FA, Santa Bona 1924, partigiano, amico e vicino di casa dei fratelli Benvenuto (file 16120202, 05:00) e domanda di iscrizione all’Anpi a nome del caduto Ugo Benvenuto (Aistresco, b. 47, fondo Anpi). In montagna nel 1944 c’erano anche Wladimiro e il padre Guido. Lucia ricorda che il padre era riuscito a scappare dalla prigione a Treviso con il bombardamento del Sette aprile 1944.
[4] Testimonianza di F.A., file 16120202, 02:05-03:13. «È una testimonianza “per sentito dire”, perché io e Ugo dovevamo andar via insieme, ma mia mamma [dopo che un mese prima ero scampato alla fucilazione] ha detto: “no, tu da qua non ti muovi” e mi ha chiuso in casa».
In altre parole, il punto esatto dell'uccisione di Ugo Benvenuto, non lo conosce (o ricorda) neppure il partigiano F.A., amico, compagno e vicino di casa.
[5] Resta da chiarire il motivo per cui nella lapide del monumento di Villorba siano incisi i nomi di entrambi i fratelli Benvenuto, visto che sia le testimonianze orali sia i documenti d'archivio attestano che la loro uccisione avvenne in due luoghi diversi.
[6] In particolare fece parte della giuria presieduta dal dr. Guerrazzo Guerrazzi che il 4 luglio 1945 condannò a morte, sentenza 19/45, i tre brigatisti neri Giorgio Brevinelli (Lince), Egidio Simonetti (Nina) ed Emanuele Gerardi (Barba); condanne eseguite per i primi due il 13 febbraio 1946, mentre "Barba" morì in ospedale per setticemia prima dell'esecuzione. (Cfr. Sentenze della C.A.S., pdf online, pp. 50-54).
[7] Lucia Benvenuto sposò Marcello Pellizzari, autista da Krull (la nota fabbrica trevigiana di spazzole). Il marito morirà poco più che sessantenne in seguito a un ictus.
[8] Le case di via Giuseppe e Vincenzo Bindoni [rispettivamente figlio e padre, entrambi insegnanti. Il più noto dei due è Vincenzo, autore nel 1884 di un "Vocabolarietto del dialetto trevigiano (1884)", ristampato da Canova nel 1978] fanno parte dei quattro gruppi di casette "popolarissime" costruite nel 1929 dall'Istituto Fascista Autonomo Case Popolari in posizioni volutamente periferiche e "un po' nascoste" «dal momento che i fabbricati che sorgeranno dovranno accogliere una categoria di inquilini che sarà bene siano un po' segregati».
È facile immaginare come questa concezione urbanistica abbia contribuito ad aumentare anziché diminuire l'opposizione sociale di chi in quei luoghi segregati abitava.
Gli altri tre gruppi di casette sorsero in via Feltrina (Monigo), via Piavesella (zona Corti del Rovere) e via Borgo Venezia (S. Lazzaro).
«La totale assenza di servizi sociali, la lontananza dal centro e l'impianto urbanistico improntato secondo una maglia rettilinea di massima economicità, costringono questi piccoli quartieri in aree di quasi totale estraniamento dalla vita cittadina». (Andrea Bellieni, Luigi Pavan, "L'architettura delle case popolari a Treviso. Lo IACP di Treviso 1915-1990, pp. 167-168).
[9] Ci si riferisce solo ai commenti più teneri. Per gli altri basta guardare la vergognosa sequela di ingiurie che compare su Google digitando "partigiani uccisi" [ultima ricerca effettuata il 2 febbraio 2017].

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