martedì 1 agosto 2017

La fucilazione dei partigiani Luigi Bavaresco e Giovanni Gasparini ai bordi della Callalta, a Fagarè.

Le schede dei partigiani Luigi Bavaresco e Giovanni Gasparini
nell'elenco caduti della divisione Sabatucci. (Aistresco, b. 24)
Bavaresco Luigi di Gaudio [e Guadagnin Teresa], nato a Padernello [il 27.2.1925].
Domicilio a Padernello. Caduto il 28 Marzo 1945 a Fagarè. (Nome di battaglia "Grifone").
Gasparini Giovanni di Giuseppe e di Moro Luigia, nato a Paese [il 24.4.1924]
(nome di battaglia: "Nani"). Domiciliato a Padernello di Paese.
Caduto a Fagarè il 28 Marzo 1945. Fatto d'arme (per entrambi):
«Catturato in un'imboscata tesagli dalle bb.nn. nella zona di Padernello, veniva
successivamente tradotto a Fagarè e vilmente trucidato».

Luigi Bavaresco e Giovanni Gasparini, partigiani di Padernello di Paese TV:
la loro cattura e fucilazione nel Diario storico della Brigata Bavaresco. (Aistresco, b.7)

Il 28 marzo 1945 (mercoledì santo), alle sei di mattina, tre partigiani rinchiusi in una cella dei sotterranei del collegio Pio X a Treviso - Luigi Bavaresco, F.A. e Giovanni Gasparini - furono prelevati dalle brigate nere e fatti salire su un camion. Direzione Oderzo, dove in quel giorno si sarebbe celebrato il funerale dei tre fascisti (di cui due - Arrigo Bernardi e Corrado Piccione - uomini di spicco della Federazione trevigiana del PFR) uccisi dai partigiani il precedente sabato 24 marzo sul rettifilo della Callalta in territorio di Fagarè, non molto lontano dal sacrario della Prima guerra mondiale.

I fascisti uccisi erano:
Arrigo Bernardi è nominato vicecomandante
federale della GIL, il 20 settembre 1943,
dalla rinata Federazione fascista di Treviso.
Ordine del giorno n. 5 - (Gazzettino 20.9.43)
- Arrigo Bernardi, nato a Oderzo nel 1896, mazziniano, studioso di storia locale, fondatore e direttore dell’Università Popolare (poi Istituto Fascista di Cultura), conferenziere. Nella vita civile segretario economo del comune di Oderzo, durante la guerra capitano d’artiglieria.
Dopo l’8 settembre 1943 fu tra i primi a riaprire la Federazione fascista di Treviso, un paio di giorni dopo che 5000 soldati italiani disarmati erano stati fatti sfilare dai tedeschi dalla caserma De Dominicis e altre caserme cittadine per le vie del centro fino alla stazione dei treni: destinazione Germania, su vagoni piombati. Responsabile provinciale dell'Ufficio Stampa e Propaganda (Audacia, n. 2, 6.XI.1943), membro del comando della G.N.R. di Treviso, Bernardi prestava servizio come capitano presso la caserma Salsa.
- Lea Forcellini Bortoluzzi, nata a Longarone nel 1902, maestra elementare, ausiliaria e impiegata presso la Federazione Fascista Repubblicana di Treviso.
- Corrado Piccione, nato nel 1900 ad Avola (SR), direttore didattico a Oderzo, fascista della prima ora, squadrista iscritto al Fascio di Oderzo dal 16.5.1921, con alle spalle diversi e importanti incarichi nel partito fra cui quello di segretario provinciale del PNF. Piccione, tenente della XX Brigata Nera “Amerino Cavallin” e direttore di Audacia, l’organo della brigata, era un granitico propagandista del fascismo. Lo fu fino all’ultimo articolo (pubblicato il giorno della sua morte), che così terminava: «Chi osa dubitare, se il Duce è sempre in testa a noi? Lo ha detto: “Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi!”. E noi lo seguiamo il Duce nostro, con lo stesso ardore di sempre, fino ai limiti del mondo, col dono della vita e della morte, per l’onore e la gloria della Patria immortale!”[1].


Arrigo Bernardi, Lea Forcellini Bortoluzzi e Corrado Piccione, la croce
eretta nel luogo in cui furono uccisi i tre fascisti che provenivano da Treviso in bicicletta.  
Siamo ai bordi della strada Postumia/Callalta, all'altezza dell'attuale trattoria
"Da Toni e Maria". (Google Street View, giugno 2018)
«Sulla proda del fosso, a mano destra giungendo dal capoluogo, ponemmo una crocetta di marmo
con la sola data dell'eccidio». Ulderico Bernardi, Un'infanzia nel '45, p. 48.

L’intenzione delle BB.NN. era di uccidere i tre volontari della libertà nei dintorni di Oderzo, per pareggiare i conti.

I morti di Fagarè secondo il parroco don Pietro Martini:
i " noti fascistoni" (Corrado Piccione, Arrigo Bernardi e Lea Bortoluzzi-Forcellini)
"assassinati nella strada Callalta" e i "due giovani di Padernello" (Bavaresco luigi e Gasparini Giovanni)
uccisi per rappresaglia sui campi di Pietro Dametto.
(''Cronistorie di guerra ... 1939-1945. Le relazioni dei parroci... ",  
a c. di Erika Lorenzon, pp. 990-91 - DVD allegato )

Dalla testimonianza di F.A., partigiano scampato alla fucilazione. [2]

Arrivati al ponte di Bocca Callalta [3] fu impossibile proseguire a causa del Piave in piena. Il camion allora svoltò a destra, prendendo la strada sull’argine, diretto alla passerella di S. Andrea di Barbarana. Ma anche qui la violenza dell’acqua, che aveva sommerso la passerella, rendeva impraticabile il transito.
All'imboccatura della passerella c'era «una macchina nera, una di quelle macchine tedesche di una volta, con dentro quattro persone. Noi siamo rimasti sul camion mentre il tenente è sceso ed è andato a parlare con loro».
Non restava che tornare indietro. Se non era possibile consumare la vendetta nella città dove erano vissuti e stavano per essere sepolti i camerati, poteva andar bene anche il luogo in cui essi erano stati uccisi.
Il camion infatti si fermò sulla Callalta, poco distante da una stradina che sul lato sinistro si inoltrava nella campagna lavorata da Pietro Dametto e un centinaio di metri prima del punto in cui - sempre sullo stesso lato della strada - erano stati uccisi i fascisti.


Il rettifilo della Callalta (S.R. 53 "Postumia") in territorio di Fagarè dove il 24 marzo 1945
furono uccisi i fascisti Arrigo Bernardi, Lea Forcellini e Corrado Piccione
e il 28 marzo 1945, per rappresaglia, i partigiani Luigi Bavaresco e Giovanni Gasparini.
(Foto: Domenica 4.12.2016 - ore 9:12)
Va da sé che il panorama all'epoca non era così spoglio e i bordi della strada maestra e delle stradine
interpoderali erano delimitati da siepi, dietro le quali, malgrado si fosse ancora all'inizio della primavera
e la fogliazione fosse ridotta, si poteva agevolmente trovare riparo.
Duecento metri prima del cippo in memoria di Bavaresco e Gasparini,
provenienti dall'attuale via Asiago "che in quel tempo era solo una cavedagna", i partigiani avevano
ucciso i fascisti Bernardi, Forcellini e Piccione, provenienti in bicicletta da Treviso e diretti a Oderzo.

Fagarè: sulla destra della Callalta, in direzione di Ponte di Piave, il cippo in memoria dei 
partigiani Luigi Bavaresco e Giovanni Gasparini. (Google Street View, giugno 2018)

Bavaresco, F.A. e Gasparini furono fatti scendere dal camion. Erano come in trance, silenziosi, non un gesto di ribellione, non un grido né un lamento: sapevano quale fosse il loro destino.
Lo sapevano fin dal momento in cui si erano rifiutati di continuare la guerra con il duce. Lo sapevano da quando avevano iniziato ad agire contro fascisti e tedeschi, invece che starsene nascosti in attesa che tutto passasse.
I tre, sospinti dai mitra stavano per incamminarsi verso la morte quando il comandante dei fascisti bloccò F.A.: «No, questo teniamolo, perché dobbiamo interrogarlo ancora». Uno dei giovanissimi brigatisti protestò: «Ma come, lui no? E perché? E' figlio di questo o di quell'altro? E' un privilegiato... [4]», poi mi ha preso, mi ha dato un calcio in culo e mi ha buttato su nel camion, ricorda F.A..
Dopo un po’ una sventagliata di mitra poneva fine alla vita di Bavaresco e Gasparini. Pochi minuti ancora e F.A. vide ritornare i due-tre giovanissimi militi che avevano eseguito la condanna a morte. «Sono saliti bestemmiando e imprecando contro di me, e siamo ritornati al Pio X».
F.A. sarà rimesso in libertà alcuni giorni dopo, senza alcun ulteriore interrogatorio.

Partigiani di Treviso -  
Luigi Bavaresco e Giovanni Gasparini i due partigiani di Padernello (Paese TV)
assassinati a Fagarè dalle brigate nere, il 28 marzo 1945.
Iscrizione alla base del cippo eretto alla loro memoria ai bordi della Callalta. (Foto: 4.12.2016)

Cippi partigiani in provincia di Treviso - 
Domenica 24 marzo 1946 fu inaugurato il cippo partigiano
a ricordo di Luigi Bavaresco e Giovanni Gasparini.
 (Il Gazzettino, 21.3.1946)

F.A., che fino al rastrellamento del '44 era stato in montagna con la brigata Mazzini, era stato fermato da un milite delle brigate nere in via Palestro a Treviso una decina di giorni prima delle uccisioni di Fagarè mentre, da solo e privo di documenti, stava recandosi all’ospedale di San Leonardo per una visita medica. Portato al Pio X, fu sottoposto a un duro interrogatorio a base di frustate con nerbo di bue da parte dei brigatisti (ed ex partigiani) "Lince" (Giorgio Brevinelli) e "Stilli" (Paolo Borea) [5].
F.A. ritiene di essersi salvato dalla fucilazione per il prodigarsi della madre, Giuseppina Carnio, che gestiva un frequentato bar nell'ex casello del dazio a Porta Calvi. Immediatamente dopo la cattura del figlio, Pina del bar - così era conosciuta - era infatti andata a bussare a tutte le porte di chi in qualche modo avrebbe potuto tirarlo fuori dal carcere. «Ogni giorno in un ufficio o in un altro o in un altro ancora, a dire che ero innocente, che ero giovane, che qua e che là. I sacrifici che ha fatto mia madre… una doppia vita, ecco, mi ha regalato!»[6].

La relazione con cui le brigate nere di Treviso falsificarono
le modalità dell'uccisione dei partigiani Luigi Bavaresco e Giovanni Gasparini.
(Aistresco, b. 15, fasc. "Raccolta informazioni sull'attività ribellistica... ".)

Del tutto falsa, come spesso accadeva, la ricostruzione
da parte delle brigate nere della morte di Bavaresco e Gasparini.
In una relazione datata 28 marzo 1945 e indirizzata ai vari comandi delle BB.NN., della GNR, nonché alla Sicherheitsdienst (SD, Servizio di Sicurezza) e alla gendarmeria tedesca, l’Ufficio Operazioni e Addestramento del comando della XX Brigata Nera riferisce sulle operazioni effettuate in provincia di Treviso nei giorni 23-24-25 marzo 1945 [7]. Fra di esse, quella avvenuta nel pomeriggio di domenica 25 marzo a Padernello di Paese dove «venivano catturati due partigiani armati di fucile e precisamente Gasparini Luigi e Bavaresco non meglio identificato». Dopo la cattura, «avendo i suddetti dichiarato di conoscere in S. Biagio di C. la località ove si celavano altri partigiani, mentre le squadre erano impegnate nel rastrellamento tentavano la fuga.
Accortisi della cosa i componenti la squadra aprivano il fuoco, intimando loro di fermarsi. Visti inutili i richiami i due furono feriti in modo tale che successivamente decedevano».
Oltre alla storpiatura dei nomi, nell’informativa fascista vengono unificate in un’unica data le catture dei due partigiani, frutto invece di due rastrellamenti: sabato 24 fu preso Bavaresco e domenica 25 Gasparini [8]. La loro uccisione figura inoltre avvenuta già a Padernello, in seguito a un tentativo di fuga. San Biagio di Callalta, comune di cui fa parte Fagarè (località in cui Bavaresco e Gasparini furono effettivamente fucilati), viene citata solo di sfuggita, come esito di una possibile delazione.
Di fatto, la nota delle brigate nere altro non è che un goffo tentativo di ingarbugliare le carte, cercando di allontanare da sé ogni responsabilità, nella consapevolezza dell’ormai vicina e definitiva resa dei conti.


Il sonetto dedicato da Luciano Desiderà [Desidera] (''il compagno Vich'') il 7.10.1946
al partigiano Luigi Bavaresco su patrioti della marca, il settimanale Anpi provinciale
di Treviso che aveva iniziato le pubblicazioni l'11 luglio 1946.
Dal 13.2.1947 cambierà il nome in La Nuova Strada, per cessare le pubblicazioni nel 1948.

Luigi Bavaresco e Giovanni Gasparini, i due partigiani uccisi a Fagarè, ricordati
sul settimanale dell'Anpi di Treviso La Nuova Strada (27.3.1947)
dal partigiano  Luciano Desiderà [Desidera], comandante del btg. Cattarin della brg. Bavaresco.

Testata giornale partigiano - 
La Nuova Strada, settimanale dell'Anpi di Treviso,
continuazione (dal 13.2.1947) di ''patrioti della marca'' - Cesserà le pubblicazioni nel 1948.
Direttore per quasi tutto il periodo di pubblicazione il partigiano del PCI  Remo Casadei.
L'ultimo numero presente nella collezione dell'Archivio Istresco è invece firmato da Giorgio Trentin.

Giornale partigiano -  
patrioti della marca, settimanale dei partigiani di Treviso
che inizia le pubblicazioni l'11 luglio 1946
e che da 13.2.1947 diventerà ''La Nuova Strada''.


Una delle azioni partigiane di Luigi Bavaresco: attacco alla caserma del 29° Deposito Misto
RSI di Ospedaletto d'Istrana, il 29 novembre 1944. (Aistresco, ID 86, n. inv. 007)

Trascrizione
Azione n. 62 della Brigata Bavaresco / 29 novembre 1944 / Ospedaletto d'Istrana«Attacco alla Caserma del 29° deposito misto in Ospedaletto di Istrana. Nell'azione che durò una ventina di minuti, nostri elementi riuscirono a penetrare nell'edificio della caserma e ad asportare armi e munizioni. (azione condotta da Bavaresco, Ciccio e Francia) con una decina di uomini».
Partecipanti all'azione 13 uomini /Bottino: armi e munizioni varie e materiale d'ufficio.



“Padernello di Paese, Cronistoria dei fatti più importanti avvenuti durante la guerra”.


La morte dei partigiani Luigi Bavaresco e Giovanni Gasparini nella cronistoria
parrocchiale di Padernello. Particolare del testo scritto in data 1.VI.1945 dal cappellano
Don Ferdinando Bruttocao e controfirmato dall’arciprete Don Antonio Borsato. (Cronistorie di guerra … , a c. di Erika Lorenzon, pp. 705-706 - DVD allegato)

Trascrizione integrale
Due morti partigiani


«Il 24 e 25 marzo 1945 le Brigate Nere di Treviso portarono via con violenza i  due giovani della Parrocchia: Gasparini Giovanni di Giuseppe di anni 21 e Bavaresco Luigi di Gaudio di anni 20. Il Sacerdote si interessa presso la famiglia del perché di questo arresto: la famiglia nasconde al Sacerdote il perché dell’arresto [9].

Il 28 Marzo i predetti giovani furono fucilati. Il Cappellano deve portare la triste notizia a una delle due famiglie, non ancora avvertita della disgrazia e invitare alla rassegnazione l’altra. Il giorno seguente (Giovedì Santo) il Cappellano, d’accordo con S. E. il Vescovo, gira dovunque per rintracciare le salme. (Al Comando delle Brigate Nere non si voleva riconoscere il fatto della morte, perché illegale). Verso sera poté scoprire le due salme a Fagarè (dove qualche giorno prima erano stati uccisi tre delle Brigate Nere (Piccione, Bernardi, Forcellini). I giovani erano stati battuti, fucilati e poi gettati in un fosso d’acqua; e, perché non fossero riconosciuti dai parenti, privati dei documenti e anche dei denari. Per impedire mali maggiori a Padernello e Fagarè, minacciati di altri rastrellamenti e incendi, furono sepolti privatamente a Fagarè: (solo il Gasparini per un caso fortuito poté confessarsi presso il Parroco di Postioma).

Il 15 Maggio 1945, dopo la liberazione alleata, le loro salme furono trasportate solennemente in paese. I Capi della Brigata a cui appartenevano, dichiaratisi comunisti, vollero che anche i due giovani fossero iscritti a tale partito almeno dopo morte.

Nel giorno dei funerali furono pronunciate delle invettive, senza alcuna ragione, dai capi comunisti contro i Sacerdoti.

-In onore dei due morti si istituirono la così detta Brigata “Bavaresco” e il Battaglione “Gasparini”-».

Note

[1] Le  notizie biografiche su Bernardi, Forcellini e Piccione sono tratte da Maistrello, Op. cit. (pp. 126-127) .
Per la sfilata dei cinquemila soldati italiani diretti in Germania, cfr. Teodolfo Tessari, “La città nella storia”, in Treviso nostra, ediz. 1980, vol. 1, pp. 143-144. - Per Corrado Piccione vedi anche "Sqvadristi, a noi!... ".
Per i cenni biografici di Bernardi pre-Otto settembre, cfr. il libro del figlio Ulderico, Un’infanzia nel ’45… , pagine 43 e 147. Nello stesso volume (pp. 47-49) Ulderico Bernardi ricostruisce anche la dinamica dell’agguato in cui venne ucciso suo padre.
L’esecuzione di Bernardi, Forcellini e Piccione è ricordata nei diari storici di due brigate partigiane garibaldine:
- Brg. “Cacciatori della Pianura”: «24.3.45 - Nelle vicinanze di S. Biagio di Callalta venivano giustiziati i fascisti, criminali di guerra:  Piccione Corrado, Bernardi Arrigo e Forcellini Lea».
(Istresco, Diari storici… , p. 228).
- Brg. “Pompeo Pivetta”: «Marzo 1945 - Giorno imprecisato - ore 16 - stradale Ponte di Piave eliminazione tre spie fasciste. (Istresco, Diari storici… , p. 591).
[2] Il testimone ha chiesto, per questa pubblicazione sul Web, di restare anonimo; o meglio, che venissero riportate solo le iniziali del suo cognome e nome. La sua identità è tuttavia facilmente individuabile nella ricostruzione dei fatti di Fagarè da parte di Federico Maistrello in Partigiani e nazifascisti nell’Opitergino… , pp. 126-131.
[3] Il ponte sul Piave di Bocca Callalta fu oggetto, fra il 1944 e la fine della guerra, di oltre 120 incursioni con sganciamento di bombe da parte degli aerei alleati, che infierirono inoltre con «mitragliamenti e cannoneggiamenti a obiettivi mobili e alla fornace Bertoli». Relazione del parroco don Pietro Martini, in Cronistorie di guerra… , p. 988.
[4] Questo passaggio della testimonianza di F.A.è significativo. Il giovane milite delle BB.NN. si rendeva conto che dietro l’inattesa clemenza nei confronti del partigiano c’era la mano di qualche autorevole personaggio (che magari, con tale gesto, già pensava a come accreditarsi con i prossimi vincitori). Ed era altresì consapevole che nessuno sarebbe intervenuto in suo favore nel momento in cui i fucili sarebbero stati puntati contro di lui. (Difatti due dei fucilatori di Bavaresco e Gasparini - di cui uno, Omero Bertini era noto come Bagonghi  - saranno giustiziati dai partigiani alla cartiera di Mignagola. Maistrello, Op. cit. p. 129).
Per i militi di Fagarè, ma anche per gli altri brigatisti che si consideravano gli ultimi fedelissimi del duce rimasti a combattere “sul campo dell’onore”, riteniamo valga il ragionamento di Brunetta riferito ai reparti della GNR “Romagna” e “Bologna” giunti nel Trevigiano tra la fine del 1944 e l’inizio del 1945. Costoro erano formati da «militi profughi da zone già occupate dall’avanzata Alleata con la conseguenza facilmente comprensibile che […] avevano già bruciato i vascelli alle loro spalle e si battevano quindi con la ferocia che nasce dalla disperazione». (Ernesto Brunetta, Prefazione a Maistrello, Op. cit. p. 12).
Concetto ripreso da Dianella Gagliani nella prefazione del volume di Maistrello sulla XX Brigata Nera: « [...] Colpisce l’inserimento nella brigata Nera “Cavallin” di ex partigiani […] . Che si arruolino a forza dei resistenti dopo averli sottoposti a sevizie che li avevano degradati a delatori, per ulteriormente degradarli e condurli a operazioni infamanti contro i loro ex compagni, rappresenta una vicenda che merita ogni nostra attenzione […].
Senza alcun dubbio l’ingaggio di ‘Lince’, di ‘Nina’, di ‘Giraffa’ e di altri condusse a una escalation della violenza: anch’essi del resto, come i fascisti toscani o emiliani o romani giunti al Nord, si trovarono a essere in un certo senso sradicati dal loro retroterra; anch’essi avevano bruciato i vascelli alle loro spalle e non avevano più nulla da perdere. È anche questa una pagina che deve farci riflettere sui regimi che incentivano tali forme di sradicamento e snaturamento. Come deve farci riflettere il fatto che l’epurazione  al termine della guerra colpì soprattutto i ‘Lince’ e i ‘Nina’, mentre tanti altri - la stragrande maggioranza - non furono raggiunti dalla giustizia o finirono per espiare pene irrisorie».
[5] Ascolta la testimonianza di F.A. sui consigli di un compagno di prigionia per resistere alle torture durante l'interrogatorio.
[6] Registrazione effettuata da Camillo Pavan nell’abitazione del testimone F.A. a Treviso; clip 008 del 2.12.2016 e file audio 16120205 (stessa data) e 16121202 del 12 dicembre 2016.
Le modalità della cattura e dell’uccisione di Bavaresco e Gasparini sono riportate da Federico Maistrello in Partigiani e nazifascisti nell’Opitergino…. , pp. 128-131. La ricostruzione si basa sulle deposizioni rese alla Corte d’Assise Straordinaria di Treviso dal padre di Bavaresco (Gaudio) - sentenza 7/45 del 16 giugno 1945; di Brevinelli "Lince" e del partigiano Francesco Neri - sentenza n. 19/45 del 4 luglio 1945. (Maistrello, Op. cit., note a p. 138).
Assai ricca di particolari la deposizione di Francesco Neri resa il 15 giugno 1945. (Maistrello, Op. cit., p. 129).
In essa si afferma che F. A. era stato arrestato da "Stilli" a Pieve di Soligo il 23 marzo e che portato a Treviso nel carcere della Federazione, dopo le consuete violenze e sevizie, era stato lasciato "per tre notti all'aperto, legato ad un palo al centro del cortile dell'edificio" e successivamente portato al Pio X dove, dopo un nuovo pestaggio era stato messo in cella con Bavaresco e Gasparini. A Fagarè, portato sul luogo dell’esecuzione, F.A. era già stato "appoggiato a un palo" e aveva i fucili puntati “quando qualcuno dei presenti si accorse che era stato commesso un errore di persona” [nel senso che su quel palo, destinato alla fucilazione, sarebbe dovuto esserci lo stesso Neri]. F.A. venne allora ricondotto al camion, a suon di calci e pugni.
Le affermazioni di Neri, tuttavia, secondo quanto più volte ribadito da F.A., su precise domande in merito dell'intervistatore, (file audio 16121202, 21:07-27:30 e 37:17-45:10) sono in gran parte smentite dal diretto interessato, in particolare nei passaggi più "suggestivi".
F. A. afferma infatti di non essere stato arrestato a Pieve di Soligo ma a Treviso, di non essere mai stato portato in Federazione e lasciato tre notti all'aperto e che, nei momenti dell'esecuzione di Bavaresco e Gasparini, non si allontanò mai dal camion delle BB.NN.
Per quale motivo Francesco Neri abbia reso una falsa testimonianza non si può sapere, ma è facile intuire che, nel clima surriscaldato del "processo in diretta" della CAS, abbia voluto accentuare la crudeltà del nemico per vendicarsi delle frustate a colpi di nerbo di bue con cui, incarcerato al Pio X, era stato colpito dagli squadristi "Lince" e Italo Gerardi proprio alla vigilia della fucilazione di Bavaresco e Gasparini. (Maistrello, Op. cit. p. 130).
[7] Aistresco, b. 15, fasc. “Raccolta relazioni sull’attività ribellistica per la relazione mensile (1945) - S/14”, s. fasc. “Relazioni Comando XX Brigata Nera”.
[8] Maistrello, Op. cit, p. 128.
[9] Nella lotta partigiana le regole della clandestinità erano ferree e ponevano i resistenti nella condizione di non fidarsi di nessuno e, nel caso, di non potersi confidare nemmeno con gli esponenti del clero del proprio paese. Sia il padre che la sorella di Luigi Bavaresco, infatti, erano partigiani. (Cfr. lo slideshow curato da Lisa Tempesta e Bepi Bandiera e presentato alla scuola media di Postioma in occasione del 70° anniversario della Liberazione).
Si veda anche la drammatica situazione che dovettero affrontare i genitori di Vladimiro Paoli che, recatisi nella cella mortuaria del cimitero di Piombino Dese per vedere l'ultima volta il loro figlio caduto in azione, furono costretti a fingere di non riconoscerlo (Cfr. Anastasio, I quaderni di Nicola Paoli, pp. 174-175 e 198), tanto che il giovane partigiano fu sepolto come sconosciuto.

La bandiera della brigata partigiana garibaldina (a guida comunista)
intitolata a Luigi Bavaresco, ucciso a Fagarè ai bordi della Callalta il 28 marzo 2015.
(Mario Altarui, Treviso nella Resistenza)