lunedì 21 novembre 2016

La contraerea tedesca a Canizzano e Sant'Angelo (San Lazzaro) nell’ultimo anno della seconda guerra mondiale


Contraerea tedesca 1944-1945: gli spostamenti
a Canizzano e Sant'Angelo (San Lazzaro) dall'arrivo alla resa.
1 - Canizzano via Cornare (arrivo fine marzo 1944).
2 - Via Selvatico (San Lazzaro), sui campi dietro casa Zanatta (Boffo).
3 - Via Capitello (ora via Priamo Tron) - fianco casa Pavan.
4 - Via Capitello nei pressi dell'attuale tangenziale (resa 29 aprile 1945).

A sud del capoluogo fu presente dalla seconda metà di marzo 1944 alla fine della guerra una batteria contraerea tedesca che venne progressivamente spostata in quattro diverse posizioni nei territori delle parrocchie di Canizzano e San Lazzaro[1].
Inizialmente la batteria, fornita di sei cannoni da 88, fu posizionata a Canizzano, ad est di via Cornare, nei campi lavorati dalla famiglia di Cornelio Menoncello[2]. Secondo Francesco Ballista «il reparto era tutto composto da avieri di leva lecchesi e comaschi»[3], che evidentemente avevano risposto ai bandi della Repubblica fascista di Salò che agiva agli ordini delle forze d’occupazione naziste.
A dare notizia dell'arrivo dei cannoni contraerei sono i parroci di Sant’Angelo e di Paese.
Scrive il primo, don Giovanni Favaretto: «2 aprile 1944 - Questa sera alle 8.30 al segnale di allarme è entrata in funzione per la prima volta la contraerea da qualche giorno installata anche nelle nostre campagne. Le scheggie piovono numerose e l’effetto degli spari è impressionante»[4]. E l’arciprete di Paese Attilio Andreatti: «La domenica delle Palme, 2-4-1944, durante la sera al passaggio di un ricognitore alleato, la nuova ed infausta contraerea di Treviso e dintorni dava il primo saggio della sua efficienza spaventando tutti con i suoi boati. Alcuni proiettili inesplosi cadevano qua e là nei campi. Il Giovedì Santo seguente, 6-4-1944, due fanciulli avvistarono alcuni di tali proiettili in località Tre Forni e spinti dalla curiosità, li smuovevano con arnesi agricoli. L’esplosione istantanea li uccideva maciullandoli»[5].
Altre volte i proiettili erranti delle contraeree si limitavano a colpire e divellere qualche albero. Ricorda Guido Marini che dalla contraerea di Sambughè … «si vede che hanno sbagliato tiro, non so … fatto sta che è arrivata una bomba su un campo nostro, e ci ha portato via una vite e un amoèr. E per fortuna che non è esplosa!».
Quando sparava la contraerea, anche se non ricadevano al suolo proiettili, bisognava comunque stare attenti perché «venivano giù schegge, robe di alluminio, tronchetti grossi come mezzo bicchiere, oppure dei quadretti di ghisa. Allora si scappava tenendosi una sedia in testa e si andava dentro al rifugio che avevamo fatto vicino a casa»[6].

I tedeschi avevano piazzato la contraerea di Canizzano dopo il pesante mitragliamento alleato del campo d’aviazione militare “Giannino Ancillotto” effettuato sabato 18 marzo 1944.
La parola ai sopra citati parroci.
Paese: « […] alle ore 9,30 del mattino comparve sul cielo di Paese uno stormo di apparecchi Alleati a due code, velocissimi, fra l’ammirazione della popolazione ignara. Dopo ripetute evoluzioni di ricognizione, ecco fulmineo un attacco di mitragliamento in località di Villa e sul campo di Aviazione. Un grosso trimotore da trasporto veniva atterrato in località S. Anna e vi decedevano tredici vittime. A Villa rimase colpito a morte il giovane Lorenzetto Gino di Bernardo, ventinovenne, e due donne furono ferite gravemente»[7].
Sant’Angelo: « Questa mattina alle 9,30 fummo visitati per la prima volta da aeroplani caccia pesanti inglesi. Obiettivo il nostro aeroporto. Furono colpiti ed incendiati con raffiche di mitraglia una decina di apparecchi al suolo. Un aeroplano tedesco diretto in Germania che aveva tentato di decollare e fuggire, fu colpito e tutto l’equipaggio perì compresa una donna tedesca. In parrocchia nessun danno, nessuna vittima»[8].

Il mitragliamento del 18 marzo 1944 - prima grossa azione alleata sui cieli di Treviso -
non fu casuale, semmai giunse con un giorno di ritardo.

Scrive infatti Antonio Pedroni nella sua documentata storia dell'aeroporto trevigiano [9] che il 16 marzo erano arrivati all’Ancillotto un centinaio di trimotori tedeschi da trasporto «disseminati ovunque e prontamente segnalati dai partigiani locali[10]. Il giorno successivo quasi tutti gli aerei decollano per la Germania, così che un attacco americano nella giornata del 18 con 21 P38, abbatte un solo Ju52 in decollo (che si schianta nei pressi di Paese) e incendia alcuni velivoli parcheggiati tra cui un CantZ 10)»[11].
Come abbiamo visto dalle cronache dei parroci, la mattinata di fuoco sull’aeroporto militare di Treviso destò viva impressione fra la gente dei paesi vicini.

Affresco del pittore romano Mario Barberis nella chiesa di
Sant'Angelo sul Sile (Treviso) a ricordo del mitragliamento del vicino
aeroporto militare durante la seconda guerra mondiale (sabato 18  marzo 1944).

Questo il vivace ricordo di Guido Marini: «Quella volta che hanno mitragliato il campo io stavo venendo a casa con altri bambini dalla canonica di Canizzano, dove eravamo stati a dottrina. Era una mattina “su per la settimana”, saranno state le dieci, dieci e mezza. Abbiamo cominciato a vedere questi apparecchi quando eravamo ancora davanti alla chiesa. Volavano alti e andavano “torno torno”, passavano sopra l'aeroporto e la chiesa e andavano a girarsi verso Quinto. Sempre in cerchio, e scendendo sempre più in basso.
Noi siamo scappati per i campi in direzione di casa nostra e siamo venuti fuori par el caréson de Biondo sulle Cornare. Ci siamo buttati dentro ai fossi, e siamo stati fermi e nascosti.
Ma sai che ci passavano a tre quattro metri dalla testa! Erano quei bicoda, là, gli spitfire, quelli con due code, e volavano a livello terra. Noi vedevamo i piloti; avevano il casco, ma li vedevi bene. Erano là che ci guardavano, e ridevano. Sti carogne!
- Non posso credere… tanto bassi non potevano essere!
Guido Marini


Ti dico che sfioravano le punte degli alberi, quando facevano il giro. Perché venivano da Treviso, lungo il Sile, e in fondo qua, a Quinto si giravano, tornavano indietro e dopo prendevano l'aeroporto e tra ra ra ta tam, e via! Hanno fatto un fumerón, quella volta. I depositi li hanno fatti saltare tutti.
Noi stavamo là, dentro ai fossi, cercando di nasconderci il più possibile. Lascia perdere tu, ma se gli salta el mato di darti una mitragliata… eh, non era mica tanto bella. I ièra bestie!
- E i cannoni? Non potevano sparargli, i cannoni?
Non c'erano mica. Quella volta non c'erano i cannoni, è stato prima…
Dopo li hanno messi, sei cannoni, per difendere l'aeroporto»[12].
Francesco Reato di Sant’Angelo, quel mattino era a scuola … «e son capitati una ventina di aerei a doppia fusoliera. Erano là sopra, e gira, e gira, e gira. I tedeschi hanno portato via gli aerei nei ricoveri - Alla Moncia, là c’erano i rifugi degli aerei - ma li hanno fatti fuori tutti.
C’era una fortezza volante tedesca con un carro armato dentro. Si è alzata, ha fatto tempo ad alzarsi e l’hanno fatta fuori.
- E voi bambini avete visto?
Questa cosa qui no, non l’abbiamo vista, ma ce l’hanno detto tutti quanti, che c’era un aereo a sei motori con un carro armato dentro.
Francesco Reato


E poi hanno mitragliato. Guarda che i caccia passavano all’altezza di cinque metri da terra, eh! E le pallottole le sentivi.
La maestra ci dice: “Ragazzi tutti a casa!”
E noi, dalle scuole [Contardo Ferrini] dove eravamo - là [dove ora passa] la tangenziale - per i fossi siamo stati poco ad arrivare a casa, mentre mitragliavano[13]. Ci siamo messi … c’era Toni Reato che ha detto “ci mettiamo qua dietro il pagliaio, perché se prendono fuoco li vediamo, ma le pallottole non ci uccidono, perché si fermano sulla paglia”.
Le pallottole passavano sopra il pagliaio, le sentivi fischiare, roba da matti. E noi sotto là, sdraiati.
È morto uno dei Boffo, che stava potando le viti, dei Boffo [di San Lazzaro] che stanno vicino ai Tronchin. Morto colpito da una pallottola vagante»[14].
Durante il grande bombardamento di Treviso del 7 aprile 1944 l’aeroporto venne solo sfiorato da cinque bombe che caddero, senza provocare danni, nei pressi del centro di Canizzano[15].
Fu invece colpita, o comunque convinta a spostarsi in altro luogo meno esposto, la contraerea di Canizzano che in quel giorno fu particolarmente attiva ed efficace. Racconta Guido Marini: « … la contraerea ha sparato. Allora sono calati tre quattro di quei caccia là e i ga fato fora tuto. Devono aver fatto anche dei morti, quella volta.
- “Dicevano” o li hai visti di persona?
Lo dicevano gli uomini ... io non ho visti i morti e neanche i cannoni rotti. Non ti lasciavano mica andare vicino in quei momenti.
So solo che, dopo quella volta, hanno tirato via i cannoni veri e hanno messo quelli di legno. Dei bei pali da sei metri; quelli sì che li ho visti, perché sono stati là tanto tempo»[16].
La notizia della partenza della contraerea di Canizzano subito dopo il bombardamento è puntualmente registrata dal parroco di Sant’Angelo:
« 7 aprile 1944 - Venerdì Santo di sangue e di morte per la vicina città di Treviso che subisce un inumano e massacrante bombardamento. In parrocchia nessuna bomba ad eccezione  di qualcheduna caduta nei pressi di Via Cacciatori dove ha lesionato due abitazioni civili. Nessun morto e nessun ferito. L’artiglieria contraerea tedesca[17] che era entrata in funzione appena dato l’allarme, partì per altra destinazione alla notte stessa dopo il bombardamento»[18].
Con tutta probabilità la batteria che durante il bombardamento era stata attiva a Canizzano si spostò a San Lazzaro ed è la stessa che troviamo presente in zona Frescada qualche giorno dopo, a ovest della ferrovia Venezia-Treviso, sui campi a nord di via Riccardo Selvatico e di casa Zanatta (Boffo) [19].

Scrive Cristina Tronchin: « […] mio nonno Gino che era andato a lavorare per i tedeschi in Alto Adige […] quando sentì che Treviso era stata bombardata tornò a casa a piedi. Abitava a Frescada, dove oggi ancora abitano mio papà e mio zio, e arrivato nel campo dietro casa venne fermato dai tedeschi della postazione contraerea perché pensavano fosse un disertore o un partigiano: volevano fucilarlo; fortuna volle che un parente lo riconobbe e li fermò in tempo»[20].
La presenza della batteria in zona Frescada è confermata anche dai testimoni Franceschini e Reato. In particolare Francesco Franceschini ricorda che - dopo che i cannoni abbandonarono quella postazione - ancora una volta furono lasciati sul luogo, al loro posto, dei lunghi pali di legno puntati verso l’alto[21].
Francesco Franceschini


Da via Selvatico la batteria si trasferì all’inizio di via Capitello, sui campi a est di casa Pavan, la mia casa natale. Di questo trasferimento abbiamo la data certa, grazie alle memorie del parroco di Sant’Angelo:
«8 febbraio 1945 - Oggi in via Capitello nei campi di Armellin si sono installati 6 cannoni antiaerei da 88, con cannoncini e mitraglie. Un centinaio di soldati tedeschi coadiuvati da militi fascisti formanti la batteria, si sono alloggiati presso alcune case di contadini. Le famiglie Pavan Vittorio, Corrò Fratelli [Giuseppe e Fioravante] e Pavan Alfonso hanno ricevuto l’ordine di sloggiare entro 12 ore per lasciar posto alle truppe tedesche della batteria e al ricovero delle munizioni. Altre famiglie che erano sfollate in quella casa dovettero rifugiarsi in altre abitazioni»[22].
L’arrivo dei tedeschi è rimasto ben impresso a mia sorella Carmela, anche se all’epoca aveva poco più di sette anni. Ovviamente il suo racconto non ha la precisione che può avere quello di un adulto, ma rende bene cosa significhi l’irruzione della guerra dentro la propria casa.
Il racconto di Carmela Pavan [23]


Carmela Pavan
L’arrivo dei tedeschi
«I cannoni sono arrivati che era la stagione del radicchio. Erano tanti, tanti e tanti e li hanno messi dritti lungo la strada, uno in fianco all’altro, sulla terra alta da Armeín, che era un campo e tre quarti di terra[24]. Saranno stati dieci-dodici cannoni, o anche di più, e dietro c’erano i camion e le camionette dei soldati. Erano belli grandi e avevano la canna rivolta verso la nostra casa, cioè in direzione dell’aeroporto, tanto che dopo, quando sparavano, noi bambini avevamo paura che ci buttassero giù la casa.
All’inizio, quando hanno portato i cannoni, c’erano tanti, tantissimi soldati, che subito sono venuti dentro a casa nostra, a invadere la casa. Non avevano tende, si sono sistemati nella casa. A noialtri ci hanno fatto andar via. Sono andati dentro nelle stanze, sotto e sopra, e guarda che la casa è grande, eh!
Il peggio è stato quando hanno buttato fuori la roba per le finestre. Mi pare ancora di vederli. Hanno butta­to fuori tutto quello che non gli serviva, padroni loro. Anche i letti, ma non tutti. Hanno preso di mira quello della zia Jolanda, che si era sposata da poco con Toni, il fratello di mio papà, e che era venuta su da poco tem­po dal suo paese, Gragnano di Napoli. Si vede che era roba nuova, sai tu perché? E lei che si disperava, urla­va, piangeva… matta ormai, disperata; robe che se non è morta allora non è morta più. E quando hanno libera­to la stanza, non aveva neanche più coraggio di entrare sulla sua camera, no a gavéa pí stómego (le faceva schifo). Perché capirai, cinquanta, sessanta soldati… vite randagie… sporconà, desfonà dappertutto.
Pisciato, tutto quello che gli serviva. Come i cani, sai i cani? Che dopo abbiamo lavato, nettato… robe da morire!
Sfollati
Abbiamo dovuto andar via da casa, tanto, tanto tempo; adesso non ricordo quanto. Siamo andati da parenti che non so quali siano, ma erano parenti nostri, dei Pavani di Sambughè. Ci ha portato mio papà col carrettino e la bicicletta; eravamo in quattro, noi tre fratelli (io, Corrado e Geremia) più mio cugino Pio, figlio della zia Jolanda. Mio papà dopo è andato a prendere anche i vicini di casa: Antonietta, Piero e Gianni Corrò. Siamo stati là un pezzo, era freddo e si dormiva sulla paglia in stalla. Dopo, passato il peggio, siamo venuti qua a Sant’Angelo, da un altro parente, me barba Etore [Artuso]. Ricordo che avevo sei anni e andavo alle scuole di Sant’Angelo partendo da là. Era la fine del ‘43, l’inizio del ‘44. Il primo in­verno, quell’inverno brutto e tetro là, noi siamo stati profughi[25].
Mio papà era rimasto a casa, perché doveva tén­darghe ae vache (governare le mucche) e veniva ogni tanto a portarci qualcosa da mangiare, un po’ di latte, dei radicchi. Ma doveva stare attento, purché i tede­schi lo tenevano controllato, perché avevano paura degli uomini. Una volta che stava venendo a portarci da mangiare gli hanno urlato. «Fermo là e mani in alto». Lui era vicino al cancello e ha mollato tutto in terra, e alzato le mani. Loro gli sono andati incontro, partendo dal portico, con lo schioppo in mano. Hanno controllato cosa avesse e poi lo hanno lasciato andare. Ma non c’era niente da ridere, niente da ridere. Si era in guerra. E pensare che mio padre [Pietro Pavan, 1909-1981] era stato in guerra fino a tre giorni prima, si può dire; è venuto a casa e si è trovato davanti a un’altra guerra!
In tutto siamo stati sfollati “quattro mesi”, il perio­do peggiore, quando i tedeschi sono arrivati coi can­noni e hanno occupato tutta la casa. Poi, un po’ alla volta, i soldati sono andati via, e così si sono liberate delle camere e siamo ritornati a casa.
La convivenza con i soldati
Da allora abbiamo vissuto insieme anche noi, con loro. Perché i cannoni sono stati là un’eternità, e li hanno portati via un poco alla volta. Dopo, i tedeschi sono diventati più buoni. All’inizio no, quando si sono presentati erano come bestie feroci. Insomma, un poco alla volta sono diventati come di casa.
So che abbiamo convissuto ancora tanto tempo con i militari. Erano buoni, loro, nell’insieme, pòri cani. Ce n’erano due in particolare, mi ricordo, che andavano su per la nostra scala e facevano tutto quel­lo che volevano, padroni dispotici, ma poi si fermava­no anche a parlare con i nostri e dicevano sempre che io “ero una bambina che sembrava un angelo”.
Non si poteva nascondere niente, però. Vànte Crò (Fioravante Corrò) aveva fatto in tempo a nascondere dietro un muro delle botti di vino, e ogni tanto andava a prendersene un pochino: finché una volta l’hanno scoperto e si sono bevuti loro tutto il vino, e Vànte, quella volta si è anche ammalato, dalla paura e dal dispiacere.
Padroni loro, insomma, e noi ci toccava dirgli si­gnorsì».
Il fosso anticarro


Nel frattempo i tedeschi della Todt, con uomini e donne assoldati nel circondario, stavano lavorando alla difesa di Treviso, costruendo un grande fosso anticarro a sud della città: fosso che partendo dal Sile all’altezza delle scuole di Sant’Angelo si ricongiungeva al fiume a Sant’Antonino.
Uno dice “fosso” e pensa al gran numero di rigagnoli che, fiancheggiati da alte siepi, disegnano dolcemente la fertile e pianeggiante campagna trevigiana, con il compito di raccoglierne le acque di scolo e di delimitare le proprietà. Ma qui abbiamo invece a che fare con un’opera militare di grosse dimensioni, che sconvolge paesaggio e assetto produttivo dei terreni.
Scrive il parroco di Sant’Angelo: «Marzo 1945 - Stanno terminandosi le fortificazioni tedesche di cinta alla città. Molte campagne della parrocchia vengono danneggiate per l’escavo dei fossi anticarro. Piante di alto fusto ed altro legname vengono asportate dai campi per fortificare le trincee»[26].
In attesa di recuperare i documenti d’archivio con planimetrie, dimensioni e percorsi esatti, non possiamo che riferirci alle testimonianze orali, perché il grande “vallo” che avrebbe dovuto contrastare l’avanzata dei carri armati alleati (e che mai assolse la sua funzione), fu ripianato e rimesso a coltura subito dopo la guerra direttamente dai proprietari dei terreni, senza alcun aiuto esterno. Di esso non è rimasta alcuna traccia visibile sul terreno.
Ricorda Francesco Reato che il fosso passava un centinaio di metri davanti alla sua casa e si trattava di uno scavo largo dodici metri e profondo sei «e noi per poter andar a lavorare nei nostri campi di là del fosso abbiamo dovuto costruire una passerella[27]. […] Si diceva che nel fosso dovesse essere fatta scorrere anche l’acqua del Sile, ma l’acqua non è mai arrivata, se non quella che saliva da sotto, dalla falda superficiale.
[…] Una cinquantina di metri davanti al fosso, sempre nei nostri campi c’erano anche sette trincee a zig zag  lunghe una decina di metri ciascuna, con dei tratti coperti da grossi travi di legno, che noi chiamavamo “i punker”»[28].
Francesco Franceschini precisa che la conformazione del fosso anticarro ricordava la V, cioè si restringeva verso il fondo, in modo che una volta scivolato dentro il carro non riuscisse più ad uscire[29].
Scettico comunque sull’effettiva utilità di questi sbarramenti è Guido Marini, che il 30 aprile 1945 vide transitare per la strada Canizzano-Sant’Angelo la colonna corazzata alleata che si dirigeva a Treviso.
«Passavano di quei blindati che avevano il ponte sopra, mezzo ponte pronto. Loro ... butta dentro la macchina, aprono il ponte e la strada è aperta, il ponte fatto.
- Se avessero trovato un ostacolo, mettiamo.
Loro non trovavano ostacoli.
- Avevano questo attrezzo.
Avevano tutto»[30].
Le fasi finali


Completato il fosso anticarro - siamo ormai a fine marzo-inizio aprile 1945 - da casa Pavan la batteria risale via Capitello e si sposta dietro lo sbarramento, sui campi lavorati dalla famiglia di Vittorio Reato, ad est della strada e più o meno dove ora scorre la tangenziale di Treviso.
«Dopo che hanno fatto il fosso anticarro si sono avvicinati alla città per meglio difenderla. E là, su cinque campi di terra, avevano non so quanti cannoni (forse una decina) e varie mitragliatrici…», conferma Francesco Reato[31].
Arriviamo ai giorni dell’insurrezione popolare.
Il 28 aprile 1945 ci fu un tentativo dei partigiani del battaglione Mirando (brigata garibaldina Negrin) di intimare la resa alla contraerea, ma senza esito positivo, almeno immediato: «Alla sera partimmo in 20 uomini per dar l’assalto alle contraeree a S. Angelo e verso la mezzanotte abbiamo abbandonato il posto per paura che i tedeschi sparassero adosso le case come loro avevano detto», scrive il partigiano del luogo Aldo Cescato[32].
Nel corso della stessa notte, però, i tedeschi fuggirono, dopo aver reso inutilizzabili i cannoni. Il parroco scrive che i cannoni furono fatti "saltare in aria" prima di fuggire e anche la relazione del btg. Mirando concorda sul fatto che le "batterie [...] furono fatte saltare dai tedeschi ai pezzi"[33].
In ogni caso, se non fu una resa, nel senso letterale del termine, fu un "abbandono forzato", col favore dell'oscurità: il che avrà forse rassicurato il senso dell'onor militare dei fuggitivi. Ma la sostanza non cambia.
I volontari della libertà (i venti della sera prima più altri quaranta aggiuntisi nell'euforia del momento) prenderanno possesso della postazione l’indomani: quel 29 aprile 1945 in cui gli uomini di Golfetto occuperanno anche l’aeroporto, un giorno prima dell’arrivo degli alleati, ai quali verrà ufficialmente consegnato - integro - due giorni dopo.


Cronistoria del parroco di Sant'Angelo sul Sile don Giovanni Favaretto sugli ultimi
giorni della Seconda guerra mondiale (Cronistorie... 1939-1945, a c. di Erika Lorenzon).

Cronistoria del parroco di Sant’Angelo don Giovanni Favaretto - Trascrizione

«29 aprile 1945 - Il Comandante la batteria antiaerea non accetta l’intimazione dei partigiani, ma prima di fuggire fa saltare in aria i cannoni.
30 aprile 1945 - Le campane suonano a festa per l’annunciata liberazione. Le prime punte di autoblinde alleate sono transitate questa mattina per la parrocchia salutate entusiasticamente dalla popolazione. Più tardi verso mezzogiorno un’imponente colonna di carri armati sud-africani sostarono in paese. Sono soldati gentili che ricambiano ai doni della popolazione con zucchero, caffè, sigarette … perfino aranci.
1 maggio 1945 - L’Areoporto  è occupato ufficialmente dall’aviazione alleata. Più di 200 apparecchi inglesi da caccia e da bombardamento si installano nel vasto campo. Fra le truppe vi sono parecchi negri».
(Cronistorie... 1939-1945, a c. di Erika Lorenzon, pp. 1199-1200).

Il partigiano Aldo Cescato e gli ultimi giorni della guerra di liberazione
 a Sant'Angelo e Canizzano. (Sulle due colonne a destra: il numero
dei partecipanti e il nome del comandante dell'azione).

Alessandro Golfetto, partigiano comunista comandante del
battaglione "Mirando" (brigata garibaldina Negrin),
ricorda gli ultimi giorni della Resistenza in un articolo 

della Tribuna di Treviso del 25 aprile 1983.

L'aeroporto di Treviso ("campo aviazione") è occupato da forze esigue di patrioti
del settore di San Trovaso agli ordini della Brigata Negrin.
Dispaccio di Alessandro Golfetto "Sandro", comandante del battaglione Mirando,
al CLN di Treviso, domenica 29 aprile 1945.
(F. Schiavetto, Intervista ad Enrico Opocher..., 1997, doc. 32, con data attribuita 28.4.1945)

La tomba del comandante partigiano Alessandro Golfetto (1916-2006)
nel cimitero Maggiore di Treviso-San Lazzaro. (Foto 22 maggio 2019)

Note


[1] Dopo lo spostamento della batteria da Canizzano, tutte le tre successive postazioni della contraerea tedesca, chiamata anche in fonti coeve “di Sant’Angelo”, si trovavano ad est di via Capitello (ora via Priamo Tron), e quindi in realtà su terreni di pertinenza della parrocchia di San Lazzaro, essendo il confine fra Sant’Angelo e San Lazzaro rappresentato dall’asse mediano di via Capitello e, a nord-est, dal fossato che costeggiava la carrareccia che da via S. Angelo e si immetteva in via Capitello (parallelo all’attuale via L. B. Alberti).
[2] C. Pavan, A difesa dell’aeroporto di Canizzano, pp. 13-15. Testimonianza di Guido Marini, 1934, del posto, registrata il 29 febbraio 2008, cassetta 2008.01b, 05:45
[3] Ballista, Ali sulla Marca, p. 79. In particolare si trattava della 4a Batteria del 311° gruppo Flak, che nel corso del bombardamento del 7 aprile 1944 «reagì vigorosamente inquadrando le formazioni con i suoi potenti cannoni da 88 mm; il reparto tutto composto da avieri di leva lecchesi e comaschi, dichiarò l’abbattimento di due bombardieri pesanti. Dai rapporti post -missione dei comandi alleati risulta che una Fortezza Volante effettuò un atterraggio di fortuna presso Chioggia, mentre altre 80 rientrarono alle basi della Puglia danneggiate in qualche misura dalla contraerea definita “da moderata ad intensa”».
[4] Cronistorie di guerra, p. 1197.
[5] Cronistorie…, p 1187. I due ragazzini di Paese non furono gli unici morti causati, in modo diretto o indiretto, da proiettili di contraerea. Scrive nella sua “Agenda 1945” mons. Cesare Girotto, segretario del vescovo Mantiero: «11 gennaio 1944 - Oggi durante un’incursione nel Veneto è partito dalla Contraerea del Priula un proiettile il quale anziché esplodere in aria, cadde in Viale C. Battisti e scoppiando colpì un giovane, Conte Pietro, di Monastier, il quale in quel momento passava in bicicletta. Venne colpito gravemente e dopo pochi istanti spirò all’ospedale». Cronistorie,… p. 91.
[6] A difesa dell’aeroporto…, pp. 15-16.
[7] Cronistorie…, p. 1187.
[8] Idem, p. 1197.
[9] Antonio Pedroni, 3° RMV, Treviso 1987-2012, 25 anni di storia, Villorba (TV), EdizioniAnordest, 2012, p. 170. Il titolo del libro, focalizzato sul 25° anniversario del Terzo Reparto Manutenzione Veicoli, non rende giustizia del reale contenuto della ponderosa opera di Pedroni che in 269 pagine di grande formato ricostruisce nel dettaglio la storia dell’aeroporto militare e civile di Treviso con l’aiuto, oltre che della scarna letteratura in materia (di fatto il solo - e importante - volume di Francesco Ballista, che per primo con Ali sulla Marca del 2001 aveva ricostruito la storia dell’aeroporto trevigiano)  anche di numerosi documenti d’archivio e di quasi 600 fotografie.
[10] Nell’opuscoletto A difesa dell’aeroporto di Trevisobasato su due testimonianze orali di miei familiari avevo genericamente parlato di “leggenda dell’aeroporto” riferendomi alle voci di un presunto infiltrato (“manutengolo”, come era chiamato in famiglia) che avrebbe preservato l’aeroporto di Treviso - a differenza della vicina città - da bombardamenti e distruzioni; contestando tale convinzione. Non avevo ancora letto il volume di Pedroni e nemmeno mi ero mai interessato all’attività partigiana locale.
Proprio fra le carte dell’Istresco (Aistresco, b. 47, domande iscrizioni all’ANPI) si trovano espliciti accenni, fin dall’ottobre 1943, non all’opera di una singola persona, ma alle azioni di sabotaggio dell’aeroporto da parte dei partigiani di Sant’Angelo “Basso” e San Lazzaro appartenenti al battaglione garibaldino comandato da Alessandro Golfetto, il btg. “Mirando”. Lo stesso battaglione che il 29 aprile 1945 occuperà l’aeroporto, consegnandolo intatto agli alleati.
D’altra parte gli alleati avevano sì interesse a tenere sotto controllo i movimenti dello scalo trevigiano, ma non certo a rendere inutilizzabile una base che un domani sarebbe potuta diventare - come divenne - preziosa anche per i loro  arerei.
[11] Pedroni, p. 170. Ballista, p. 83, precisa che l’inizio allarme fu alle 9,25, l’inizio dell’azione alle 9,40 e la fine dell’allarme alle 11,45. Gli apparecchi incendiati (oltre al CantZ 1007), furono uno Ju 52, uno Ju 88 e un Do 217.
[12] A difesa dell’aeroporto…, p. 13. Testimonianza Guido Marini, cassetta 2008.01b, 09:25 - 11:35.
[13] La casa del testimone si trovava in linea d’aria a meno di 1000 metri dall’aeroporto.
[14] Testimonianza di Francesco Reato (S. Angelo di Treviso, 16. 2. 1933) registrata il 12 settembre 2016, file 16091201, 29:16 - 32:04.
[15] A difesa dell’aeroporto…, p. 15; Ballista pp. 78-79; Pedroni, p. 170.
[16] A difesa dell’aeroporto, p. 15. Testimonianza di G. Marini, cassetta 2008.01b, 05:10 - 05:50
[17] La penna del parroco, solido conservatore, non ha dubbi su come definire la contraerea: l’equipaggio sarà anche formato da avieri dell’aeronautica repubblicana italiana, ma la contraerea è “tedesca”.
[18] Cronistorie…, p. 1197.
[19] Francesco Franceschini, nato nel 1934 in via Capitello a S. Angelo nella casa segnata in mappa come "Casa Tesser". Testimonianza registrata il 25 aprile 2015, file 15042501. La testimonianza di F. Reato, su questo punto, non è registrata.
[20] Casa Zanatta (Boffo): vi abitava il partigiano del btg. “Mirando” Ferruccio Zanatta, un agente di PS in servizio a Venezia che così descrive, fra le altre cose, la sua attività cospirativa nella domanda d’iscrizione all’Anpi (Aistresco b. 47): «Al Caos Militare Italiano [8 settembre 1943] trovandomi in servizio presso l’Ufficio P.S. di Mestre, mi rammucchiai un quantitativo di munizioni e diverse pistole automatiche, asportandole a recapito (S. Lazzaro Frescada Treviso) nascondendole nella propria abitazione. Contemporaneamente quando assegnato nei servizi d’ordine stabilimenti Marghera, [durante] bombardamenti alleati, istigavo patrioti aiutando sabotare in pieno, rimanenti petroli, benzine, e qualsiasi altro mezzo atto alla macchina bellica Tedesca.
Giugno 1944 - Disertai definitivamente dal corpo di P.S. con diserzione qualificata, asportandomi armi e munizioni di mia dotazione, entrando immediatamente a far parte nelle formazioni S.A.P. del Battaglione Treviso, sabotando l’invasore con ogni mezzo, in linee telefoniche, stradali, e ferroviarie. […]
Settembre 1944 - Fabbricazione stampa clandestina per il Comitato di L.N. Treviso e tutta Provincia stampando circa mezzo quintale di stampa o manifestini alla settimana, con un ciclostile […]».
Zanatta cita a testimoni del suo curriculum, fra gli altri, il comandante del btg. “Mirando” Alessandro Golfetto, un operaio delle officine OMT di Ronfini, militante comunista, che nell'aprile del 1983 in una delle mie prime interviste - purtroppo non registrata, ma di cui conservo gli appunti - conferma che da Ferruccio Boffo si stampava l’Unità con il ciclostile.
[21] Testimonianza di Francesco Franceschini registrata il 25 aprile 2015, file 15042501, inizio e 02:50.
[22] Cronistorie... , p. 1198
[23] Registrazioni del 29 febbraio e 14 aprile 2008, cassetta 2008.01a, passim.
Questo brano è stato edito nel 2008 in A difesa dell’aeroporto… , pp. 23-27, dove scrissi erroneamente che la contraerea rimase “a casa nostra” fino alla resa del 29 aprile 1945.
[24] Un campo trevigiano tradizionale ha una superficie di 5204 m2, disposta a rettangolo (di norma m 100x50ca.). Tuttavia nell'accezione comune s’intendono 5000 m2. Ovvero: due campi = un ettaro.
[25] Mia sorella ha anticipato di un anno l’arrivo dei tedeschi. Evidentemente l’assoluta eccezionalità dell’avvenimento, ha trasformato un lasso di tempo relativamente breve (circa due mesi) in un periodo sospeso nel tempo e dalla durata indefinita.
[26] Cronistorie… , p. 1198.
[27] Testimonianza di Francesco Reato registrata il 12 settembre 2016, file 16091201, 03:40
[28] Idem, 34:45-37:15.
[29] Testimonianza di Francesco Franceschini registrata il 23 settembre 2016, file 16092301, inizio.
[30] Guido Marini, intervista originale 2 maggio 2011, file 11050203, 02:38
[31] Testimonianza di Francesco Reato registrata il 12 settembre 2016, file 16091201, 01:16.
[32] Cescato Aldo, di Antonio e di Bertoncello Anastasia, nato il 22.8.1926, apprendista muratore, nome di battaglia “Stalin”. Nel questionario, alla domanda sul suo “stato di famiglia”, Cescato risponde in prima battuta con “povero”, corretto poi con “celibe”. A comandare l’azione di Sant'Angelo era Remo Pianon “su ordine del Comandante Golfetto Alessandro”. (Aistresco b. 47, Domande iscrizione all’Anpi).
[33] Aistresco, b 7, fondo Caporizzi, fasc. Divisione Sabatucci, sf. Brigata Negrin.